Libera Idea

Google
 
Web Sito

giovedì, settembre 14, 2006

"Pacifisti" di lotta e di governo

di Fabio Cintolesi - Molti si chiedono come mai, gran parte della sinistra che si definisce "pacifista", una volta arrivata al governo, abbia entusiasticamente sostenuto una missione "di pace" armata fino ai denti e con regole d'ingaggio (cioè il come i soldati in missione debbano reagire alle minacce, concrete o potenziali) che poco si discostano da quelle di "Enduring Freedom", tanto per fare un esempio.
Ciò dopo che le stesse persone si erano opposte a spada tratta alla partecipazione italiana in Iraq e in Afghanistan. Che la missione italiana in Libano sia giusta o sbagliata, credo che questa contraddizione lasci onestamente perplessi.
Qualcuno mi ha detto: "Ma stavolta c'è l'Onu". Perchè in Afghanistan no? Sull'Iraq si potrebbe discutere, data l'estrema ambiguità delle risoluzioni in merito. Ma sull'Afghanistan c'erano eccome, diverse risoluzioni; nell'ordine, la 1368, la 1373, la 1378, la 1386 e, da ultimo, la 1510.
"Ma Israele va fermato", m'ha ribattuto qualcuno. Perchè Saddam Hussein e i talebani erano soggetti maggiormente meritevoli di tutela? Senza entrare nel merito di tali questioni, la cui analisi ci porterebbe troppo lontano, si capisce che certe argomentazioni mostrano chiaramente la corda.
La ragione di tale apparente schizofrenia dei "pacifisti" finiti al governo, va ricercata, a mio avviso, nella stessa nascita, per fecondazione eterologa, del movimento pacifista di ispirazione comunista e socialista in Italia.
Questi eventi, poco conosciuti, ma fondamentali per comprendere il modus operandi di gran parte del movimento pacifista italiano di oggi, sono mirabilmente descritti nel libro "Lo stalinismo e la sinistra italiana" dello storico Viktor Zaslavsky, edito per Mondadori nel 2004.
Consiglio vivamente la lettura di questo stralcio, a me chiarì a suo tempo molte cose.

"Storicamente, la creazione del movimento pacifista, organizzato come movimento dei partigiani della pace, fu il capolavoro della politica estera e della propaganda stalinista. La campagna della “lotta per la pace”, con le sue varie ramificazioni, e, in primo luogo, la creazione del movimento dei partigiani della pace, ideato, organizzato, finanziato e guidato dalla leadership staliniana, diventò il metodo di esportazione e di diffusione dell’antiamericanismo in Occidente.

Già durante il primo congresso del Cominform, nel settembre del 1947, Zdanov indicò tra i compiti strategici primari del movimento internazionale comunista la creazione nei paesi occidentali di una organizzazione per la difesa della pace e per la lotta contro il “diktat americano”. Secondo Zdanov, il movimento pacifista avrebbe permesso ai partiti comunisti occidentali non solo di estendere la propria influenza su strati e gruppi della popolazione non legati all’ideologia comunista, ma anche di ostacolare il processo di integrazione europea e l’unificazione politica e militare dell’Occidente. Il 6 gennaio 1949 il Politburo sovietico approvò la risoluzione Sul congresso mondiale dei partigiani della pace che rimane tuttora il documento fondamentale per la storia del movimento pacifista in Occidente. Il Politburo decretò la convocazione del congresso mondiale per la pace a Parigi nel 1949, formulò gli obiettivi della campagna per la pace, indicò sia le organizzazioni che dovevano promuovere il congresso, sia quelle la cui partecipazione era considerata indispensabile e stanziò le risorse finanziarie per coprirne le notevoli spese. Il Cominform, a sua volta, assicurò un’attiva partecipazione dei partiti comunisti occidentali alla campagna per la pace che “doveva occupare il posto centrale in tutta l’attività dei partiti comunisti e delle organizzazioni democratiche”.

Così, nel 1949, in Italia furono organizzati scioperi contro l’adesione al Patto Atlantico, mentre nel 1950, dopo l’attacco della Corea del Nord alla Corea del Sud, autorizzato e appoggiato da Stalin, i partiti comunisti, specialmente il Pci e il Pcf, mobilitarono il movimento pacifista per attuare scioperi e manifestazioni di massa contro la Nato, contro gli impegni militari presi dai governi europei e in particolare contro il sostegno militare alla Corea del Sud da parte americana e di altri paesi, approvato dalle Nazioni Unite. In Francia e in Italia furono organizzate azioni di boicottaggio del trasporto di armi per le truppe in Corea e fu ulteriormente rafforzata la propaganda antimilitarista e antiatlantica all’interno dei rispettivi eserciti.

La lotta per la pace era sempre un prodotto da esportare. All’interno del campo sovietico l’apparato di propaganda denunciava il concetto “ideologicamente nocivo” del pacifismo “astratto” o “indiscriminato”, contrapponendo le “guerre giuste” condotte dall’Unione Sovietica e dai suoi alleati, a quelle “ingiuste” intraprese dal campo occidentale. (…)

Nel periodo staliniano l’antiamericanismo diventò un denominatore comune di tutte le principali campagne propagandistiche del movimento comunista internazionale. Il 25 maggio 1950 Togliatti spiegava così ai membri della Direzione del Pci il vero senso della campagna di mobilitazione: “Essa non è solo pacifista e umanitaria, ma antimperialista e antiamericana, né bisogna questo carattere farlo scomparire… Non dimentichiamoci dunque anche in questa nuova contingenza di trarre l’acqua al nostro mulino”. Il fatto che il pacifismo a senso unico fosse utilizzato sia per la diffusione del sentimento antiamericano sia per la difesa della politica estera sovietica non sfuggì all’attenzione dei contemporanei. Norberto Bobbio, all’epoca militante del partito socialista, scrisse nel 1952: “Curiosi pacieri i partigiani della pace. Essi si offrono per ristabilire la pace tra i contendenti. Ma dichiarano sin dall’inizio senza alcuna reticenza che dei due contendenti l’uno ha ragione a l’altro ha torto, che la pace si può salvare soltanto mettendosi da una parte sola”. Questa critica, però, fu ripudiata dal suo partito che condivideva la politica di incondizionato appoggio all’Urss staliniana."


da Radicali