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giovedì, novembre 08, 2007

Stupidario Rom

di Simonde de Sismondi - Il principale problema concernente l’immigrazione è costituito dai pregiudizi ideologici del “politicamente corretto”: questo consiste, come è già stato ampiamente studiato, in tutta una serie di censure e autocensure, linguistiche e ideologiche, che creano una sorta di barriera insormontabile tra la realtà dei fatti e la loro conoscenza, impedendo ogni serio contrasto dell’illegalità e della clandestinità. Non si tratta di un fenomeno ovviamente spontaneo ma creato a tavolino da un’accorta strategia europea che prende ispirazione da ambienti politici, media e mondo accademico progressista, il cui principale obiettivo è manipolare la normale percezione della realtà. Sul piano storico-culturale, Il politicamente corretto non è altro che una conseguenza della convinzione, propria dell’egualitarismo totalitario, secondo cui tutti gli uomini devono eliminare ciò che storicamente e culturalmente li differenzia, per riconoscersi in modelli di convivenza modellati su astratti schemi ideologici. La percezione delle inevitabili e insopprimibili differenze e la loro espressione linguistica sono considerate frutto di “pregiudizi” e di “ignoranza”.
La conseguenza di tutto ciò, è la creazione di uno “stupidario” concettuale fondamentalmente vacuo e fasullo che si limita a ripetere generiche banalità e luoghi comuni e ad affrontare, in questo caso le complesse problematiche concernenti l’immigrazione in forme di giaculatoria penitenziale o di vieti slogan terzomondisti.
Tipico esempio di questo “approccio” può essere considerato quanto detto nell’ambito del convegno, organizzato dall’associazione “Govanni XXIII” a Bologna il 19 ottobre scorso dal titolo “Diritti umani del popolo ROM: un popolo (sic) escluso dalla storia” da una delle relatrici, tale Francesca Zanetti docente di Scienze della Formazione (quante persone cercano di assumere un’aura di autorevolezza, presentando come “scientifiche” le loro idee e attività!) secondo cui “Parlare di Rom significa soprattutto parlare di diritti umani negati, perché vengono relegati fuori dallo spazio delle decisioni e delle politiche delle relazioni di una città”.
Conformemente ad uno dei più triti luoghi comuni del terzomondismo, secondo cui il sottosviluppo è una conseguenza dello sfruttamento da parte dei paesi più sviluppati, anche secondo la relatrice i rom sono vittime dei pregiudizi dei benpensanti, perché privati di diritti e perché esclusi da fantomatiche “politiche delle relazioni della città”. D’altra parte, secondo le parole del moderatore del convegno, il giornalista Nelson Bova “ Vengono chiamati da tutti zingari che ormai (sic) è diventato sinonimo di sporco; ambiguo irrecuperabile. Della loro etnia è permesso parlare male, non c’è politically correct come c’è verso gli atri popoli… Degli zingari salviamo solo i bambini e ci indigniamo perché il comune li aiuta, preferendoli agli italiani.”
Ovvia e logica conseguenza di queste affermazioni, come si vede, è l’inversione di ruoli tra vittime e carnefici: sono gli zingari le vere vittime e non gli altri. Anzi, conformemente al giulebbe marxistoide che caratterizza certa sociologia criminale da accatto, la delinquenza da loro perpetrata o è inesistente o conseguenza di un non meglio definibile disagio sociale, dovuto ovviamente alle vittime, e ai loro pregiudizi. Anzi, queste ultime, devono accettare le benevole attenzioni delle comunità Rom, farsi derubare, e nei casi peggiori, seviziare o torturare come giusta punizione dei loro pregiudizi allo stesso modo delle inermi vittime del terrorismo degli anni ’70, anch’esse punite perché “nemici della classe operaia” o “complici dello sfruttamento capitalistico”. D’altra parte, gli “zingari” come si evince dalle parole del suddetto Nelson Bova non devono esistere: sono semplicemente e genericamente abitanti della Romania, romeni appunto! Definirli “zingari” significa esercitare una sorta di discriminazione: la criminalità, la precarietà, l’abusivismo che li caratterizza sparisce immediatamente eliminando questo termine e sostituendolo con quello di romeni. Poco importa poi, se questa demenziale manipolazione linguistica di stampo orwelliano porta di conseguenza la gente comune ad identificare tutti i rumeni con gli zingari. L’importante è salvaguardare la purezza Rom, la loro valenza mitica: infatti, il loro stile di vita, è, in quanto tale, una denuncia della mentalità borghese benpensante, in quanto alternativo al capitalismo e più generalmente alla vita civile. E sotto questo punto di vista sono molto utili alla perpetuazione di retoriche che in questo paese, permettono cospicue rendite di posizione politico-culturali. Per dimostrare il fallimento del capitalismo e alimentare le speranze del comunismo o del catto-pauperismo marxisteggiante, occorre mantenere in vita tutta una serie di “vittime” pronte ad essere esibite, quando necessario: non è importante risolvere i loro problemi, quanto legittimare la presenza di chi su questi riesce a costruire una carriera politica o accademica o una qualche visibilità mediatica.
Come si vede, quella del convegno in questione è una lettura della realtà Rom ben più inficiata da pregiudizi e luoghi comuni di quella della cosiddetta gente comune, dei “borghesi” di cui, immaginiamo con grande vergogna, facciano parte anche i relatori che vi hanno preso parte. Si tratta di un’accozzaglia di cliché pseudo-progressisti di scarso se non nullo valore concettuale.
Sostenere che “Parlare di Rom significa parlare di diritti umani negati perché vengono relegati fuori dallo spazio delle decisioni, delle politiche e delle relazioni della città, come ha fatto la professoressa Zanetti, è assolutamente fuorviante se non ridicolo. In realtà sono i Rom stessi che con i loro costumi di vita basati sull’occupazione disordinata del territorio, un territorio che per loro non vale nulla, e i loro stili di vita fondamentalmente parassitari e basilarmente malsani si pongono al di fuori di qualsiasi relazione civile e umana. Posto che per diritti umani non si intenda il privilegio di vivere al di fuori da elementari norme che regolano la convivenza civile (civile, non borghese), oppure avere piena libertà di danneggiare i beni e le persone altrui.
In realtà i cosiddetti rom o zingari, oggi non sono altro che una delle tante categorie di persone che per vari motivi (studio, lavoro, persecuzione politica), si spostano dai loro luoghi di origine per cercare fortuna in altri paesi. Tuttavia, per quanto l’integrazione nei nuovi paesi sia ovviamente difficile per tutti, gran parte di loro cerca un lavoro stabile, una casa in cui abitare e si sforza di rispettare le leggi dei luoghi in cui va a vivere. La convivenza con gli abitanti originari - e, volendo, l’integrazione - è quindi verificabile e misurabile tramite parametri e punti di riferimento precisi. Ma nel caso dei rom tutto quanto questo è molto difficile se non impossibile.
Pensare di integrarli in una qualche forma fornendo loro degli alibi esterni o pseudostorici, come quello della supposta negazione di loro diritti umani è, oltre che inutile, profondamente deleterio: questa gente ha bisogno di prender coscienza della propri marginalità e dei gravi limiti del loro stile di vita. Un’opera questa, come si vede, molto lunga, complessa e difficile. Solo a partire da qui è, per loro, possibile pensare, posto che lo vogliano, a una qualche forma di progresso e di integrazione. Viceversa, fornire loro, gratuitamente alloggi, campi ed altro o magari, come ha fatto il vice sindaco di Bologna Scaramuzzino nell’ambito di questo convegno, scusarsi di doverli allontanare dal territorio cittadino non significa altro che perpetuare la loro mentalità parassitaria, la loro marginalità ed esibire un buonismo di facciata che agli occhi di chi è estraneo a questo codice di valori appare come colpevole debolezza e come implicita autorizzazione a disporre delle persone e dei beni altrui a proprio piacimento.
L’unico risultato che ottengono queste esibizioni di pseudo-anticonformismo da anime belle è quello di offendere le numerose vittime dello stato di anarchia, di impunità, e precarietà che l’endemica presenza di queste popolazioni comporta nel nostro paese: la lingua di legno del politicamente corretto, la comoda posa pseudo-progressista del difensore dei diritti rom nell’atmosfera ovattata dei congressi e delle aule universitarie, suonano semplicemente come atti di disinteresse, disprezzo se non odio. Un’attitudine questa ben poco umana e ancor meno cristiana.

da www.legnostorto.com

venerdì, settembre 21, 2007

Democrazia e concertazione

di Andrea Amati - Sono anni che ci affliggono con il dogma della concertazione.
E' una di quelle parole che sembrano assurgere ad un rango superiore, come se fossero espressione di un valore assoluto, che diviene sconveniente se non addirittura oltraggioso sottoporre a critica o sollevare in dubbio. Si dirà, sono solo parole, come il poeta diceva: sono solo canzonette. Ma la martellante insistenza con cui il valore espresso da questa parola è esaltato, riverito, magnificato dal coro unanime del politically correct, la rendono insopportabilmente antipatica.

La parola concertazione ferisce per il camuffamento con il quale è stata introdotta nel linguaggio comune ad opera della classe politica dominante. Il suo significato etimologico è quello di decisione concertata, ovvero frutto della collaborazione di tutte le parti, come gli elementi di un'orchestra che suona in concerto. Nella realtà politica essa consiste nell'accordo che i partiti politici al governo stipulano con i rappresentanti di interessi privati, espressione di "poteri forti" della società, al fine di evitare la loro reazione ostile in occasione di decisioni di governo che li riguardano. Di fatto si tratta di una oggettiva prevaricazione dei principi della democrazia parlamentare che, in teoria, come ci ricorda il Prof. Sartoris dalle paginme del Corriere (fondo del 6 settembre), sarebbero tuttora vigenti in Italia. La democrazia parlamentare prescrive che le decisioni che riguardano la vita del Paese siano prese a maggioranza da un gruppo di persone, i membri del Parlamento, a ciò specificamente eletti dalla generalità dei cittadini. Indipendentemente dal sistema elettorale adottato, il Parlamento è l'espressione della comunità nazionale, attraverso il vincolo di rappresentanza dei suoi membri, e solo in quella sede dovrebbero prendersi le decisioni che riguardano la generalità dei cittadini-elettori.

Con la così detta concertazione, invece, i problemi vengono non solo discussi (come sarebbe certamente accettabile) ma anche decisi fuori dalle aule del Parlamento, direttamente tra i rappresentanti di interessi particolari (gli imprenditori, i sindacati, le banche, le assicurazioni, i farmacisti, i sindacati del pubblico impiego, i magistrati, gli avvocati, gli abitanti della Val Susa) ed i rappresentanti dei partiti politici al governo. I partiti politici hanno trasformato, con logica clerico-marxista, le loro strutture organizzative da libere associazioni ad una sorta di confraternita monastica massonica, dove la difesa del potere acquisito prevale su ogni altro valore, ancorchè teoricamente tutelato dalla Carta costituzionale. In questo modo i leader dei partiti politici hanno assunto un potere enorme: ogni decisione viene presa direttamente con le formazioni sociali di volta in volta interessate, prescindendo dalla volontà del Parlamento, e portata in Parlamento solo per la formale ratifica, imposta ai parlamentari dai leader dei rispettivi partiti senza che sia loro consentito alcun reale apporto critico. Solo per salvare le apparenze, o per meri tatticismi richiesti dai partiti, i Parlamentari fingono di discutere tra loro ma, alla fine, votano sempre in conformità degli ordini di scuderia, ovvero come ordinano gli organi dirigenti del proprio partito. E non possono fare altrimenti: se sgarrano il partito non consentirà la loro rielezione, con perdita di tutti i vantaggi ed i privilegi che ne conseguono. Anche loro tengono famiglia. Isolati casi di parlamentari che, anche nel recente passato, hanno osato mostrare un po’ d'indipendenza dai rispettivi partiti sono stati esposti al pubblico ludibrio, additati con disprezzo da tutta la cosca massonico-monastica della politica italiana, e dai media, finchè li stessi non hanno fatto pubblica ammenda e sono tornati a svolgere obbedienti il loro ben remunerato ruolo di onorevoli votatori.

Con l'affermarsi della concertazione, il Parlamento è divenuto un mero votatoio, tanto che se possono, i parlamentari ci vanno il meno possibile, facendosi sostituire da "pianisti" che votano sottobanco per loro conto: per votare come comanda il partito ci si può ben fare sostituire.

Ma la concertazione non mortifica solo il ruolo costituzionale dei parlamentari, esautorandoli dal loro ruolo specifico di rappresentanti dell'intera comunità nazionale e, dunque, anche delle corporazioni, delle chiese, delle logge e financo delle cosche, emarginandoli al ruolo di esecutori di ordini di voto, essa mortifica, se non addirittura annulla, anche le competenze del Governo, che avrebbe il compito di dirigere la pubblica amministrazione. La concertazione ha spostato anche questa attività dalle stanze del Governo, inteso come organo indipendente dal Parlamento e dai partiti politici, a quelle dei rappresentanti dei partiti che lo sostengono: infatti i membri del Governo (i singoli ministri, viceministri e sottosegretari) sono nominati con logica spartitoria (manuale Cencelli) tra i leader dei partiti o esponenti ad essi strettamente legati. E così i singoli ministeri divengono l'area riservata di azione del partito del ministro, viceministro e sottosegretario la cui principale preoccupazione diviene quella di compiacere, grazie al potere conseguito, il più grande numero possibile di categorie, enti, organizzazioni comitati ed individui, al fine di garantire un buon risultato elettorale al proprio partito. Anche questi traffici sottobanco vengono pomposamente definiti concertazione. Amen.

Bruno Vespa una volta disse con orgoglio che la sua trasmissione televisiva era definita il terzo ramo del parlamento. Non si era accorto che la sua trasmissione, al pari di altre trasmissioni d'intrattenimento politico di successo, sono divenute l'unico vero luogo di discussione politica, dove i politici possono davvero esporre le proprie idee ed i propri progetti. Con il limite, tuttavia, che lo share televisivo non attribuisce alcun potere decisionale e l'apprezzamento popolare su questo o quel punto oggetto di discussione si esaurisce necessariamente con la memoria della trasmissione, lasciando, al più, un sentimento di simpatia generica nei confronti di questo o quel politico, con l' effetto, auspicato, di spostare qualche voto in sede elettorale.

In sostanza, il Parlamento ed suoi parlamentari non servono più a nulla. La discussione politica avviene pubblicamente, per mezzo dei media, ma serve solo a fare specchietto per le allodole, per guadagnare generica simpatia e dunque voti. Le vere decisioni sono prese in "concertazione" fuori dal Parlamento, direttamente tra i dirigenti dei partiti e qualunque forma di aggregazione sociale che dimostri di avere sufficiente seguito: lo scopo è sempre lo stesso, "muovere" voti.

da legnostorto.com

lunedì, settembre 17, 2007

Assistenzialismo e assistenza

di Barbara Di Salvo - Come spesso accade quando si aggiunge il suffisso -ismo e si passa dalla realtà all’astrazione, dalla pratica alla teoria, il risultato cambia, e notevolmente, in peggio.

Ecco che l’assistenza, un comportamento umano dei più nobili, si trasforma irrimediabilmente nella sua caricatura, l’assistenzialismo, non più attività pratica, ma pura dottrina, non più comportamento razionale, ma dogma morale.Per quanto possiamo essere delle bestie, non esiste essere umano che non sia istintivamente portato a fornire assistenza a chi si trova in stato di pericolo o necessità.Certo, c’è chi ha uno spirito più eroico, ma neppure il peggiore dei cinici, se non affetto da gravi disturbi psichici, lascerebbe morir di fame una persona a lui cara, anche solo il proprio figlio.L’unica differenza tra l’eroe e il cinico è che il primo aiuta anche gli sconosciuti.

Non è questa la sede per filosofeggiare sul perché lo faccia, ma va dato atto al cristianesimo di aver fornito un forte motivazione agli esseri umani: la conquista del Paradiso.Ora, che il clero ci abbia marciato sopra non lo metto certo in discussione, ma negare che i cristiani siano, per motivazioni prettamente religiose, più portati a dare assistenza ai bisognosi mi sembra francamente eccessivo anche per il più convinto degli atei.Non si può che rispettare una Madre Teresa, un Padre Pio, il prete di periferia o la dama della San Vincenzo che hanno dedicato la loro vita ad aiutare il prossimo.Ognuno di questi credenti avrà avuto le proprie motivazioni, ma va riconosciuto il merito a Cristo ed alle religioni da lui discendenti di aver saputo convogliare il naturale egoismo in comportamenti altruistici.
L’egoismo, infatti, in questi casi non scompare, viene incanalato al servizio degli altri, ma la motivazione di fondo resta sempre egoista: la salvezza eterna è solo ed esclusivamente del singolo benefattore, mica del beneficiato.Con questo certo non critico gli altruisti cristiani, anzi tanto di cappello a chi li ha inventati. Ribadisco solo quanto sia profondamente sbagliato demonizzare l’egoismo ed osannare l’altruismo, visto che il secondo senza il primo neppure esisterebbe. Cosa si sono inventati, invece, il socialismo e il comunismo (altri due -ismi che rendono astratti, dottrinari, dogmatici e, quindi, peggiori due bei concetti come socialità e comunione)?

L’assistenzialismo, l’altruismo senza egoismo, aiutare gli altri senza aiutare noi stessi, o peggio facendoci del male.Pura astrazione, semplice demagogia, favole per creduloni, ancora convinti che l’aiuto dell’altro possa essere imposto per legge e l’ego possa essere abolito per decreto.In qualche modo dovevano soppiantare una religione e ne hanno costruita un’altra dove l’unico dio terreno è il bisognoso, il debole, lo straniero, il povero, che vanno aiutati in ogni modo, costi quel che costi, qualunque siano le conseguenze.Poco importa se negando alla radice l’egoismo, invece di convogliarlo come ha fatto Cristo, si finisce per rimanerne vittima. Uno può anche non credere al diavolo, ma il giorno che se lo trova davanti, pensa di cavarsela dicendogli “tu non esisti”? E i risultati di tanta stupidità e miopia sono sotto gli occhi di tutti. Ma loro, niente, non mollano.

Ancora insistono con la redistribuzione del reddito, con la spesa sociale incontrollata, con l’accoglienza indiscriminata di qualsiasi derelitto, ancora distruggono ogni risorsa del Paese per far vivere di rendita gli egoisti approfittatori.Questo perché contraddirebbero se stessi se ammettessero che l’egoismo non è solo nel ricco, ma anche nel povero che se ne approfitta per vivere di rendita.Così non si preoccupano di aiutare il bisognoso ad uscire dalla miseria, ma sono ben lieti di lasciarcelo, pur di continuare a soddisfare il proprio ego facendo i generosi coi nostri soldi e comprarsi così il loro consenso. È così che lo Stato, invece di agevolare l’assistenza sociale svolta dai privati, qualunque sia la motivazione che li spinge, dalla religione al lucro, ha la presunzione di poter fare a meno di questi enti, di potersi sostituire a loro e poter divenire esso stesso una religione.Ma sì, eliminiamo i privilegi della Chiesa, facciamo pagare l’ICI agli oratori e alle scuole cattoliche. Basta con questi regali ai preti che hanno tanti miliardi che potrebbero sfamare l’Africa. Applichiamo anche a loro i principi europei della libera concorrenza. Che competano anche loro nel lucroso business delle onlus. Oh, mi si dice dalla regia che anche le onlus non pagano l’ICI.Quindi dov’è il privilegio?E i centri sociali la pagano?Ne dubito visto che sono okkupati e, quindi, non pagano neppure l’affitto.E gli incassi del bar e dei concerti che ci fanno dentro sono tassati?Neppure quelli?E tutte le associazioni culturali, i club sportivi, e tutte quelle altre organizzazioni che si occupano di assistenza, previdenza, sanità, formazione, accoglienza, cultura ricreazione e sport?Nemmeno loro?Quindi, non è un’esenzione data solo alla Chiesa?Ah, vale per tutte le confessioni religiose? Quindi, neppure le moschee e i centri culturali tibetani?

Ma tu guarda. No, questo no. Pure loro? Non ci posso credere.... pure i sindacati e i partiti politici!Sono equiparati a onlus senza fini di lucro? Ma dai, è uno scherzo. Partito e sindacato senza fine di lucro è una contraddizione in termini.Ma davvero è proprio così?Quindi, volete dirmi che i sindacati come la CIGL, con 3.000 sedi in Italia, la CISL con 5.000 o la UIL, con un patrimonio immobiliare di 35 milioni di euro, non pagano un centesimo di ICI?Quello stesso patrimonio immobiliare delle corporazioni fasciste che è stato loro letteralmente regalato?Gli stessi immobili di cui non si conosce neppure l’esatto numero, perché i sindacati non sono obbligati a presentare un bilancio, in cui vengono investiti i miliardi che sottraggono a pensionati, lavoratori, Inps e Stato? Quindi, la sintesi è, in nome di un presunto privilegio anticoncorrenziale, i partiti, amici dei sindacati, che hanno inventato l’assistenzialismo stanno cercando di togliere a chi fa assistenza un’esenzione fiscale di cui loro stessi beneficiano?Questa sì che è concorrenza sleale.

da www.barbaradi.splinder.com

sabato, settembre 08, 2007

La Turchia e l'idiozia della vecchia Europa

di Carlo Panella - L’elezione di Abdullah Gul a presidente della Turchia pone il sigillo alla sconfitta piena e totale del kemalismo con conseguenze straordinarie non solo per il quadro politico mediterraneo, ma anche per la riflessione dottrinale sull’Islam nella modernità. Per imporre il laicismo, per “esportare la democrazie europea”, fortemente influenzato dal pensiero massone e mazziniano (i Giovani Turchi copiarono il nome dalla Giovane Italia). Kemal Atatürk abolì il califfato e il sultanato, sciolse tutte le confraternite religiose e ne confiscò gli immensi beni, abolì la shari’a e la sostituì col codice penale Rocco e quello amministrativo di Neuchâtel e abolì anche l’alfabeto arabo (scritto da destra a sinistra) e impose quello latino, con una cesura drammatica che impedì ai turchi la lettura dei testi nella vecchia scrittura (di fatto, la censura totale sulla cultura islamica). Atatürk pose infine l’esercito nazionale a guardia della laicità, sovraordinandone il potere a tutte le istituzioni (nove anni fa una parlamentare fu privata del mandato per la sola colpa di indossare il hijab in aula). Una riforma che ha riscosso per 80 anni universale approvazione, tanto che da sempre molti studiosi (Bernardi lewis tra questi) la indicano come l’unica in grado di coniugare –con la sua violenza riformatrice- Islam e modernità .

Passati 83 anni, il kemalismo, oggi è morto. Per via democratica la “vecchia talpa musulmana” ha sbriciolato tutti i vincoli che tenevano l’Islam ai margini del potere e l’Akp, un partito moderno e moderato, ma integralmente musulmano, è stato scelto dal popolo turco quale detentore di tutto il potere politico: governo e presidenza della repubblica. Il fallimento del modello di stato laico kemalista, pur legittimato dalla straordinaria vittoria militare di Atatürk contro l’invasione greco-inglese del 1920-22 (a cui partecipò pure l’Italia), costituisce oggi la prova provata che nessun modello, nessuna dottrina politica di marca laico-occidentale riesce comunque a imporsi nelle società islamiche. Momento di riflessione capitale non solo per l’Iraq, ma anche per l’Iran, là dove l’esperienza turca indica che solo una proposta politica democratica in ambito musulmano potrà riuscire a accumulare sufficiente consenso popolare per rovesciare la dittatura.

Ma il fallimento del kemalismo, suona soprattutto da monito, inascoltato, alla misera cultura politica dell’Europa. E’ stata infatti l’Ue a fare a Erdogan l’immenso favore di “imporgli” la eliminazione del potere sovraordinato al governo dei militari, fedeli e democratici custodi della laicità. E’stata l’Ue a pretendere l’idiota applicazione meccanica dei “criteri di Copenhagen” (pensati per guidare alla democrazia i paesi ex comunisti, non certo quelli musulmani) che hanno permesso al antilaicista Erdogan di impadronirsi, grazie al voto del 46,5% degli elettori, di tutto, assolutamente tutto il potere. Ora, l’esercito turco, l’unico al mondo a aver fatto tre golpe pienamente democratici, non ha più potere politico e non può più fare da guardia al laicismo. L’Ue, può solo portare i ceri alla madonna: l’Akp di Erdogan e Gul –anche grazie al golpe militare del 1997- è un partito pienamente democratico. Ma le prossime elezioni potrebbero essere vinte dai Fratelli Musulmani, o dai fondamentalisti. Come in Algeria. E si sa come è finita.

da www.carlopanella.it