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lunedì, settembre 04, 2006

Boaz Ganor: "All'Italia dico: cercate di capire le regole del gioco"

di Cristina Balotelli - La tregua reggera' per alcuni mesi.

Poi riprendera' il conflitto. E' l'opinione di uno dei massimi esperti al mondo di terrorismo, l'israeliano Boaz Ganor, vice rettore della "Lauder School of Government" presso l'Interdisciplinary Center a Herzliya e fondatore dell'Institute for Counter-Terrorism, un centro di ricerca indipendente.
Ganor, autore del libro 'The Counter-Terrorism Puzzle - A Guide for Decision Makers", in questa intervista spiega che la chiave per la stabilita' in Medio Oriente e' la Siria e che quanto e' accaduto alla frontiera con il Libano e' solo una parte del piu' generale processo di Jihad globale.

Come valuta l'accordo di cessate il fuoco?
Innanzitutto credo che ogni cessate il fuoco sia meglio di una guerra. Tuttavia, da un punto di vista israeliano, accettando questa tregua abbiamo avuto piu' costi che benefici. Israele, al momento dell'entrata in guerra, aveva diversi obiettivi. Primo, portare a casa i soldati rapiti. Secondo, smantellare la capacita' militare degli Hezbollah, decine di migliaia di Katyusha a corto, medio e lungo raggio. Terzo, spezzare la connessione Hezbollah-Iran attraverso il territorio siriano, usato per far passare le armi. Nessuno di questi obiettivi e' stato raggiunto. La comunita' internazionale non lo ha permesso.

Ci sara' un'altra guerra?
Questo cessate il fuoco e' temporaneo. Nel giro di qualche mese il conflitto riprendera'. C'e' troppa delusione in Israele e tutti, europei, americani, libanesi, Hezbollah, stanno nascondendo il problema. Tra gli Hezbollah e il Libano esiste un accordo in base al quale l'organizzazione non sara' smantellata in quanto milizia, ma dovra' nascondere le sue armi. Inoltre, le forze Unifil non saranno dispiegate lungo la frontiera con la Siria, quindi nessuno impedira' il rifornimento di armi agli Hezbollah che intanto stanno ricevendo un enorme flusso di denaro dall'Iran per ripagare i civili libanesi colpiti dalla guerra. Questo procurera' loro nuovi seggi in Parlamento.

Nasrallah ha detto 'non andiamo verso un secondo round'.
Infatti sara' Israele ad andare per il secondo round. E' solo questione di tempo. Non penso neppure che Nasrallah pianificasse il primo round: non si aspettava una simile reazione d'Israele. Tra qualche mese, quando la situazione si sara' stabilizzata, lancera' un altro attacco e Israele rispondera'.

Alcuni politici israeliani mostrano aperture verso la Siria. Tzipi Livni sta cercando un canale di comunicazione, Avi Dichter ha detto che e' il momento di considerare la concessione delle alture del Golan alla Siria in cambio della pace. La Siria e' dunque la chiave?
La Siria e' l'elemento chiave per la stabilizzazione. Negli ultimi anni e' stata spinta, dalla politica americana, nelle braccia dell'Iran: e' stata inserita nell' 'asse del male', tra quei paesi che sponsorizzano il terrorismo. Come conseguenza, ha stretto un'alleanza con l'Iran, che pero' e' artificiale perche' i due Paesi non condividono lo stesso approccio radicale islamico. E nemmeno gli stessi obiettivi, perche' se l'Iran raggiungesse i suoi obiettivi in Medio Oriente il Libano diventerebbe un Paese islamico radicale sciita, governato dagli Hezbollah. Questo rappresenterebbe un grande pericolo per il regime alawita di Bashar Assad, gia' minacciato dentro e fuori dai radicali. Ma lui non vuole riconoscere che l'alleanza con l'Iran e' controproducente. Penso che ci sia bisogno della Siria come elemento stabilizzatore perche' vedo gli scontri alla frontiera con il Libano come una parte del processo internazionale di Jihad globale. Alla fine, la guerra contro i jihadisti globali sara' vinta o persa solo se gli stessi musulmani si sveglieranno e capiranno che devono essere loro a combatterli, non l'America o l'Europa. Dopo l' "asse del male" ci vuole un "asse della speranza": abbiamo bisogno di vedere l'Egitto a fianco della Giordania, della Turchia, dell'Indonesia. La Siria appartiene a questo schieramento, e non all'asse del male. Con o senza la pace con Israele, prima o poi dovranno capirlo.

Dobbiamo aspettarci perdite tra le forze internazionali in Libano, ci saranno attentati terroristici e rapimenti?
Si, ma non subito, perche' ora sarebbe controproducente per gli Hezbollah. Credo che nel giro di alcuni mesi vedremo molta propaganda, in ambiente sciita, contro le forze Onu. Le cose cambiano molto rapidamente in Medio Oriente. Se domani mattina, per esempio, qualcuno decidesse di attaccare gli impianti nucleari iraniani, l'Hezbollah attaccherebbe immediatamente Israele in rappresaglia. Israele risponderebbe e probabilmente le forze Onu si troverebbero tra i due fuochi. E se cercassero di impedire agli Hezbollah di avvicinarsi al confine israeliano, sarebbero attaccate. Fino a quando gli Hezbollah restano in possesso di una quantita' enorme di armi e munizioni, nella regione siamo tutti seduti su una bomba a orologeria. E non dimentichiamo che in Libano ci sono anche altre fazioni, inclusi palestinesi e attivisti di Al-Qaeda. Questi militanti potrebbero vedere le forze europee come potenziali obiettivi, indipendentemente dagli sciiti.

L'Europa, e in particolare Francia e Italia, vogliono giocare un ruolo importante in Medio Oriente. Cosa ne pensa?
Da una prospettiva israeliana, direi che gli europei non sono mai stati dei mediatori imparziali. Tradizionalmente sono pro-palestinesi, con alcune eccezioni: i governi britannico, italiano e tedesco. L'Europa puo' giocare un ruolo importante nella regione, ma una volta raggiunta la pace: da una parte potrebbe persuadere i palestinesi ad abbandonare il terrorismo e a costruire un rapporto di fiducia con Israele, dall'altra sostenere economicamente i palestinesi una volta cominciato il processo di pace.

E quale consiglio darebbe al Governo italiano?
E' importante capire quali sono le regole del gioco nella regione. Bisogna capire gli scopi dei vari attori e il loro linguaggio. Capire che non tutto quello che viene detto e' quello che si vuole significare. Gli Hezbollah, per esempio, usano un doppio linguaggio e una doppia politica. Possono dire una cosa e farne un'altra. Quando il presidente iraniano Ahmadinejad parla di pace, non e' la pace a cui pensa l'Occidente. Quindi il mio consiglio e' di non basarsi soltanto su quello che viene detto, ma di controllare cosa viene fatto.

da IlSole24Ore