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venerdì, giugno 01, 2007

L’estate delle tre guerre civili

di Antonio Ferrari - Quella che ormai è alle porte potrebbe essere un'estate terribile per l'intero Medio Oriente. Se nel passato, un sanguinoso conflitto agiva da anestetico per tutte le altre situazioni regionali di tensione, oggi accade il contrario, con il gravissimo rischio di dover assistere impotenti a tre guerre civili contemporanee (Palestina, Libano e Iraq).
Tre guerre civili moltiplicate per lo strapotere e la crescente arroganza iraniana. Le crisi sono infatti fatalmente intrecciate, come le violenze nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared, nel settentrione libanese, stanno dimostrando.Eancora una volta, cause, pretesti e alibi si affollano sulla Palestina. L’ultima tregua, annunciata a Gaza, è molto meno di un’illusione perché gli attacchi e le vendette interpalestinesi tra i fondamentalisti di Hamas e i laici del Fatah sembrano entrati nella fase più pericolosa. La situazione, nella Striscia, è incontrollabile, «e noi non siamo in grado di governarla», ha ammesso sinceramente, al vertice del World Economic Forum sul Mar Morto, il ministro dell’informazione dell’Anp Saeb Erekat.
A Gaza regna l’anarchia. Con agguati, sparatorie, assedi e attentati, come quello che era stato preparato contro lo stesso presidente Abu Mazen, il quale si sforza di dimostrare di non essere prigioniero degli estremisti, e di non essere soltanto il «sindaco» di Ramallah. AbuMazen, figura tragica, è debole, come in realtà è debole l’attuale governo di Israele, e come appare debole la comunità internazionale, attonita e impotente di fronte al disastro che si sta producendo. AlForum faceva quasi tenerezza il re di Giordania, mentre annunciava al mondo che occorre «prepararsi al giorno dopo il raggiungimento della pace».
Non era certo una dichiarazione dettata da un poco realistico ottimismo ma il tentativo, quasi disperato, di scuotere attori e comprimari di un dramma collettivo. Re Abdallah, che guida un Paese che ha il 65 per cento della popolazione di origine palestinese, comprende più di ogni altro che se non si trova un accordo, «subito, entro l’anno» per riaprire un alito di negoziato, tutto precipiterà, e con esso svanirà anche la visione dei «due Stati, Israele e Palestina, che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza», sulla quale—a parole— tutti sono d’accordo. Il tentativo del re è di coniugare il raffreddamento del conflitto inter-palestinese con la realizzazione del piano arabo, approvato a Riad da tutti i 22 Paesi appartenenti alla Lega, e nel frattempo alleviare le sofferenze della gente di Gaza con interventi economici che consentano di far sfiatare, almeno in parte, le tensioni. Incoraggiante, per esempio, la creazione di un Business Council con 15 imprenditori israeliani e altrettanti palestinesi.
Incoraggiante anche la decisione dell’emiro di Dubai, Al Maktoum, di stanziare 10 miliardi di dollari per educazione, ricerca e crescita professionale dei giovani arabi della regione. Ma queste iniziative, pur lodevoli, non placano gli odii che lacerano il fragilissimo e già compromesso tessuto politico dell’Anp. Da Gaza, gli estremisti martellano con i razzi l’insediamento di Sderot, e Israele risponde con raid ed esecuzioni mirate. La Striscia è una giungla, e il solo pensiero di dispiegarvi una forza internazionale di pace è «ridicolo», scrive l’editorialista giordano Mousa Keilani. «Siamo noi che dobbiamo cominciare, aiutandoci da soli», gli fa eco il ministro palestinese Erekat, per poi chiedere il sostegno degli altri, a cominciare dai fratelli arabi.
Ma i sauditi pensano a contenere lo strapotere iraniano e a neutralizzare le manovre siriane sul Libano, appoggiando con ogni mezzo il premier Fuad Sinora e i suoi alleati. Damasco, che teme il processo internazionale sull’assassinio di Rafic Hariri, è pronta a tutto pur di impedirlo. L’Iraq sembra la preda di troppi appetiti e il terreno ideale per un devastante scontro fra sciiti e sunniti. Ela sfida nucleare di Teheran ripropone l’incubo di una guerra generalizzata. Lo scenario è angosciante, «ma noi dobbiamo reagire, tutti assieme. E fare qualcosa. Subito», ammonisce re Abdallah. Come non dargli ragione?

da Corriere della Sera