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martedì, febbraio 06, 2007

Il pentimento

di Gianni Pardo - Il pentimento ha una sua grandezza. Il coraggio e l’onestà di riconoscere i propri errori sono ammirevoli. Rimane però il problema della valutazione del colpevole.
Chi non si pente rimane pericoloso e, per così dire, irrecuperabile. Scalzone ad esempio continua a vivere in un suo mondo delirante che ci lascerebbe indifferenti se non tendesse a distruggere il nostro e va dunque tenuto d’occhio. Il pentito invece si inserisce nella società. Ma può essere considerato uno fra gli altri? Si può passare un colpo di spugna sul suo passato, che abbia o no scontato l’eventuale pena?
La risposta non può essere netta. Il Cattolicesimo, col sacramento della confessione, sostiene che è possibile cancellare la colpa e ritrovarsi nella grazia di Dio. Basta che il sacerdote pronunci alcune parole: “Ego te absolvo, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti”. Ma perfino per i credenti rimane il problema: perdonare equivale a dimenticare? A non tenere conto di quell’azione nel giudizio sulla persona? Certamente no. Dunque la soluzione non può essere generale e il problema si riduce a questo: l’errore è scusabile o inescusabile?

I giovani allevati dalla retorica fascista nel culto della patria potevano trovare giusto che ci si battesse contro l’invasore. Mentre altri giovani potevano pensare che continuare a combattere avrebbe solo prolungato l’agonia della patria la quale, del resto, era in mano ad un altro invasore: quello tedesco. In queste condizioni, nessuno può chiedere ai repubblichini o ai partigiani di pentirsi. Viceversa, quando qualcuno progetta a freddo di uccidere a tradimento un generale, un capo d’industria o un giornalista, si può pensare ad un atteggiamento di buona fede? Francamente no. E non si può pensare di “perdonare” nemmeno dopo trent’anni di carcere. Nessuno può pagare questo genere di debito. Nessuno può riscattare una personalità capace di non vedere l’assurdità criminale di quel gesto.

Affermazioni di tale severità lasciano l’amaro in bocca. Vien quasi da chiedersi se non si stia omettendo il dovere umano di mettersi nei panni del colpevole. Ma la risposta che sale dall’intimo è netta: mai e poi la maggior parte le persone che ho conosciuto nella mia vita ed io stesso saremmo capaci di tanto. Costui è diverso da noi.

Non che l’omicidio sia inescusabile in ogni caso. Il tirannicidio è dichiarato lecito dalla stessa Chiesa Cattolica, per bocca di San Tommaso. Von Stauffenberg rimane un eroe, non un assassino. E se non si vuole sottilizzare anche Bruto e Cassio furono effettivamente uomini d’onore: uccisero Cesare perché, a loro parere, era l’unico modo di salvare la repubblica. Ma se Roma fosse stata una democrazia moderna, se fosse bastato aspettare qualche anno per avere una nuova elezione, il loro sarebbe stato un puro e semplice agguato. Un omicidio volontario da ergastolo. Esattamente come quello di Aldo Moro.

Anche coloro che si sono allontanati dal loro passato da decenni rimangono difficili da perdonare. Nessuno oggi può avere paura di Adriano Sofri, Sergio Segio, Lanfranco Pace e tanti altri, divenuti magari valenti giornalisti o comunque onesti borghesi: ma se è lecito per una volta parlare in prima persona, confesso di avere in questo campo dei pregiudizi indistruttibili. Vorrei tanto poter dimenticare la loro esistenza. Non riuscirò mai, non dico a perdonare, ma a considerare un mio simile colui che ha ucciso a freddo un innocente, per motivi evanescenti e deliranti. Aldo Moro mi era veramente antipatico ma per me è morto ieri mattina. La mia volontà di vendetta rimane intatta e inappagata. Mi accontento certamente della pena che i colpevoli hanno scontata ma il fossato che mi separa da chi si è reso colpevole di simili crimini non è stato colmato. E mai lo sarà.

da
pardo.ilcannocchiale.it