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venerdì, novembre 10, 2006

L’invasione fiscale

di lupodellasteppa - E’ ben magra consolazione l’aver saputo da tempo che, una volta al governo, la sinistra avrebbe portato un poderoso affondo sulle tasse.

Preceduta da un martellante battage sui conti al disastro lasciati dal precedente governo, condita con una buona dose d’ipocrisia sulla cosiddetta equità sociale, accompagnata da una maliziosa propaganda sui ricchi da quarantamila euro lordi l’anno e da un’insinuante divulgazione sulle dichiarazioni dei redditi di commercianti, artigiani e professionisti, la manovra finanziaria avrà come risultato quello di prelevare dalle tasche di tutti i contribuenti, un’enorme quantità di denaro liquido che per un terzo servirà a riportare le finanze italiane nei parametri europei, ma per due terzi servirà a fare “politica”.

Il che vuol dire, non solo dare vantaggi agli amici, preservare l’ inviolabilità di certi “santuari”, favorire ancor più chi gode di rendite di posizione, foraggiare cooperative e società vicine alla sinistra, ma soprattutto significa spingere la società italiana ancora più lontano, di quanto già non lo sia ora, da un modello, anche solo appena abbozzato, di sistema liberale e liberista.

Prova ne sia il modo moralista, al limite del bigottismo, legalitario al limite del giustizialismo, con cui molti esponenti della sinistra, a cominciare dal Ministro dell’economia, trattano il problema dell’evasione fiscale. E’ evidente che, poiché il livello d’imposizione fiscale è prescritto da una legge, l’evasione è “di per se” illegittima.

Lo sceriffo di Nottingham rappresentava la legge e in nome della legalità razziava gli averi dei poveri contadini, pastori, artigiani e commercianti della contea.

Il punto, perciò, non riguarda la “legalità” della tassazione. Ne è la sua “moralità” che diffidiamo da chi tratta la materia fiscale in termini etici, ma la sua ragionevolezza e la compatibilità con le libertà dei cittadini.

In Italia il livello di tassazione supera, fra tributi diretti e indiretti, la metà di quello che guadagniamo col nostro lavoro, lo studio, l’ingegno, la passione per l’impresa ed il coraggio di rischiare i propri beni, pochi o tanti che siano, per creare nuova ricchezza e benessere.

Lo stato reclama il diritto di impossessarsi di oltre la metà ed in cambio distribuisce servizi.

Ora è evidente che alcuni di questi possono, anzi devono, essere svolti da uno stato moderno, come la sicurezza interna ed esterna, la giustizia, le infrastrutture utili alla collettività ed all’economia nazionale.

Né si discute il principio della progressività delle imposte per cui chi più guadagna più deve pagare, non solo per un astratto principio di solidarietà, ma soprattutto per ragioni pratiche.

Fatti salvi questi due capisaldi, ci domandiamo: quale sia il livello ragionevole di tassazione, compatibile con lo sviluppo dell’impresa privata, la sola che crea veramente nuova ricchezza, e il diritto dei cittadini di disporre liberamente delle loro sostanze.

Per rispondere al primo quesito sarebbe sufficiente guardare a quegli stati con economia simile a quell’italiana e che hanno saputo, attraverso un’intelligente politica fiscale, dare impulso allo sviluppo dei loro paesi e non vampirizzarne le risorse.

Quanto alla compatibilità tra fiscalità e libertà dei cittadini è chiaro che il livello di tassazione diventa prevaricatorio quando lo stato ci toglie il diritto di disporre liberamente dei nostri soldi per obbligarci a mandare i nostri figli nelle “sue” scuole ed università, curarci nei “suoi” ospedali o presso i medici di “sua fiducia”, con i farmaci che ha scelto, volare con la “sua” compagnia di bandiera, guardare la “sua” televisione, viaggiare sui “suoi” treni, servirci delle “sue” strutture d’assistenza sociale e previdenziale. Tutte cose “sue”, ma pagate con i “nostri” soldi.

Quand’anche il livello di questi servizi fosse buono, o addirittura ottimo, il che microscopicamente non è, ne risulta un effetto distorsivo sull’economia del paese e, fatto ancora più grave, la pesante sopraffazione delle libertà individuali.

Nell’america dello schiavismo, quando un nero aveva bisogno di un paio di scarpe per il proprio figlio, di un vestito o di qualsiasi altra cosa, andava dal “suo padrone” che provvedeva alla bisogna.

Questa, crediamo, sia la sostanza della schiavitù: togliere all’individuo, il diritto di disporre liberamente di quanto si è procurato con il proprio lavoro, per imporgli le proprie scelte.

E questo è il modello di società verso cui l’Italia sta sempre più sprofondando, che assomiglia sempre più a quelle società in cui ogni scelta, anche quelle inerenti la sfera privata, sono assunte da elite politiche e tecnocratiche ed il cittadino è poco più, poco meno, che uno schiavo irresponsabile.

da legnostorto.it