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lunedì, novembre 27, 2006

La dimissione civile

di Gianni Pardo - Da sessant’anni l’Europa non è coinvolta in una guerra che la riguardi personalmente. Per molto tempo s’è dunque potuto pensare che la guerra sia stata estromessa dalla storia. Questo ha grandemente influenzato le attitudini guerresche degli europei. Anche se si è tentato di supplire alle loro incapacità militari con i progressi della tecnologia non si può dimenticare ciò che diceva un ammiraglio di cent’anni fa: “Quand’ero giovane io le navi erano di legno e gli uomini di ferro; oggi le navi sono di ferro…”
Il venir meno dello spirito militare – fra le prime cause della caduta dell’Impero Romano – è stato incoraggiato dai governi che, seguendo l’opinione pubblica, non hanno fatto che tagliare i fondi per la difesa; gli effettivi sono stati ridotti; la leva è stata abolita; l’esercito è divenuto un corpo decorativo capace di mandare al massimo diecimila soldati all’estero e utile solo per le parate militari. Se domani paesi come la Germania o la Francia dovessero affrontare una guerra, dovrebbero partire da zero. Soprattutto per quanto riguarda gli uomini.
Tutto questo però è noto e non sarebbe drammatico se si trattasse solo di problemi militari. Una volta che una guerra scoppia, lo spirito militare s’impara non in mesi ma in giorni. Come disse una volta un francese che era stato mandato in Algeria: “Parti da civile pacifico, ma appena ti vedi morire un commilitone vicino, sei pronto ad uccidere”.

Il problema non è solo militare. Il fenomeno più preoccupante è una sorta di “dimissione civile”. Gli italiani, per fare un esempio di cui sappiamo molto, non si sentono più né cristiani, né patrioti, né cittadini. Non si sentono neppure italiani. Disprezzano troppo l’Italia per accettare di fare parte di una comunità. Non credono che finiscano col prevalere i migliori ed anzi per non imbarcarsi in una faticosa competizione preferiscono l’egualitarismo al merito. Il posto fisso all’avventura del lavoro indipendente. Preferiscono l’invidia per il ricco all’ammirazione per chi si è arricchito. Preferiscono insomma le utopie di sinistra. Ma quel ch’è peggio, non si sentono meritevoli di rispetto. Capiscono e approvano il musulmano che rivendica le sue tradizioni e il rispetto della sua religione, ma non pensano neppure per un momento a difendere le proprie tradizioni: la religione italiana e il modo di vivere italiano. Se un musulmano pretende – lui ospite e per giunta in una struttura pubblica – che solo un’ostetrica, e non un ostetrico, si occupi del parto di sua moglie, tutti sono pronti a giustificarlo. L’idea di mandarlo al diavolo, e di rispondergli a muso duro che se non è soddisfatto del servizio può tornarsene a casa sua, non è venuta a nessuno.

La crisi non è solo militare, appunto. È una crisi della ragionevolezza. L’assenza di una guerra ha prodotto un deragliamento dei cervelli da cui è uscita stravolta la maggior parte delle evidenze del passato. Un tempo chi non lavorava meritava la fame, oggi anche chi non ha voglia di lavorare deve avere più o meno gli stessi vantaggi di chi si rompe la schiena. Una volta chi non studiava era un asino e andava bocciato, oggi l’asino è un giovane in difficoltà su cui si chinano pensosi e premurosi insegnanti e psicologi, per non parlare delle famiglie. Con l’ovvia conclusione che merita un incoraggiamento e che intanto è opportuno promuoverlo. Gli esempi sono inutili. È in tutte le direzioni che il realismo non è più di moda e anzi la società guarda con sdegno l’incauto che osasse formularne le conclusioni.

Questa follia collettiva dell’Europa e dell’America del Nord non appartiene agli altri continenti. Altri paesi, magari perché ammaestrati dalla fame, dalla durezza dei loro costumi e dal loro minore sviluppo culturale, conservano forti agganci con la realtà più brutale. Questo, oltre a tenerli lontani dalla demenza, dà loro un’imprevista capacità di competere. Loro sono disposti ad uccidere e ad uccidersi, l’Europa non è disposta ad uccidere neanche per autodifesa. Loro sono disposti ad alzare la voce, anche con pretese assurde, l’Europa non è disposta a rispondere e se lo fa è per chiedere scusa. Perfino della miseria dei paesi poveri che è invece figlia della loro incapacità di produzione e del loro eccesso di natalità.
Mentre i paesi più sviluppati e civili indietreggiano in ogni campo, chiedendo scusa di esistere, gli altri avanzano, giustificati dalle nostre stesse idee. Se Tsahal entra a Gaza per impedire il lancio di razzi contro cittadini inermi, e negli scontri muoiono dei civili, Israele è colpevole e nessuno cita né il fatto che agisce per legittima difesa. E neppure che mentre essa cerca i terroristi, i terroristi cercano di colpire gli innocenti. Come mai, tutto questo? La risposta è semplice: Israele, come civiltà, è Europa, i palestinesi no: dunque i palestinesi hanno comunque ragione e Israele comunque torto. Anche quando agisce per legittima difesa.

Una simile involuzione della civiltà non si guarisce con i discorsi o mettendo l’Europa dinanzi ad uno specchio. Non c’è uno specchio abbastanza grande. Ma l’Europa guarirà, tutto d’un colpo, quando la storia – speriamo il più tardi possibile – l’immergerà nel bisogno e nel rischio di morte. In quel caso, o ritroverà la strada del vigore e del realismo o soccomberà ad un nuovo Odoacre, meno civile di quello che depose Romolo Augustolo.

da pardo.ilcannocchiale.it