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sabato, agosto 12, 2006

Israele trae la legittimità a esistere non dall’altrui riconoscimento o pelosa carità, ma dalla Legge

di Umberto Silva - Il vino di Cana ora è sangue, Satana sghignazza.
Hezbollah, il partito di Dio, si pavoneggia, applaudito, sulla scena internazionale.
In una mano tiene un missile, nell’altra il corpo di un bambino dilaniato. Ma prima di unirsi al coro di urla contro Israele sarebbe bene ricordarsi che tutti coloro che combattono nel nome di Dio incarnano il fior fiore della milizia infera.
Una vecchia storia: per onorare il Santo Sepolcro appena riconquistato, i crociati di Goffredo di Buglione scannarono trentamila ebrei e altrettanti musulmani. Come pensare di avere a che fare, oggi e allora, con devoti a qualcosa che non sia il nulla? Come dialogare con coloro che hanno una sola idea fissa: distruggere Israele, il pensiero, Dio? I nichilisti sono i kamikaze dell’anima e, poiché è impossibile annientarla, a un certo punto si fanno saltare in aria. Uccidendo l’altro si cerca di nobilitare l’assassinio dell’io. E’ la logica dell’aborto: si uccide per non nascere; nascere è rischioso, dolorosamente gioioso. Ciò detto, è giusto l’intervento di Israele in Libano, questo intervento? Soprattutto: che cosa è in gioco?
Non ho mai conosciuto due umani uguali tra loro, e penso che questo valga anche per gli arabi. Se si crede che siamo fatti con lo stampino, figli del luogo e della tradizione in cui ci troviamo a nascere, meglio andare a puttane e finirla qui di blaterare. Fortunatamente l’esperienza ci dice che ciascuno esiste in un’inarrestabile differenza… persino da sé: a ogni parola pronunciata già non si è più come prima. Quando sento parlare d’identità, la mia mano corre alla pistola. Sospinto da contrastanti pulsioni, sono fiero d’essere un mucchio di gente… con cui mai prenderei un caffè. Sunniti, sciiti, cristiani, ebrei, italiani: illusionismo, allucinazione.
Non c’è popolo, razza, classe, sesso, ma ciascuno esiste, quando esiste, in una solitaria moltitudine. Ogni ostentazione di appartenenza è di comodo: un tornaconto o un alibi. Non c’è ebreo, non c’è arabo e a nessuno la terra è stata promessa, a nessuno donata. Arida la terra dei Padri quand’è fuori del mito, nel realismo. Il diritto si costruisce nell’impresa.
Che ci fanno gli ebrei dalle parti del Giordano? Dissipati i fumi gloriosi del ritorno e della riconquista, appare un paese democratico e pensante, qualcosa di prezioso… in un deserto di schiavitù: dittatori, sceicchi, mullah e prepotenti di ogni tipo tengono uomini e donne prigionieri dell’ottusità, carne da macello.
Un miraggio o un’oasi, Israele? Certo una provocazione. Invidiarla, odiarla, o ammirarla?
A molti la sua voglia di vivere pare eccessiva, la si vorrebbe un tantino più malinconica, sottomessa e spenta; ai governanti di un paese che in cent’anni non è riuscito a debellare la mafia, la camorra e tutto il resto, che ha deciso di conviverci e talvolta lo dice chiaramente, che per catturare un capo mafioso impiega quarant’anni, suona blasfemo l’intervento israeliano in Libano. Ma perché ‘sti ebrei non convivono con le katiushe e con le promesse di morte di Mahmoud Ahmadinejad? Che sarà mai qualche razzo in testa per chi è stato graziato da Auschwitz? Ringrazino la loro buona stella e stiano contenti.
Che cosa farsene dell’amore universale? Partiamo da lì, da Auschwitz. Gli ebrei avevano conosciuto la ferocia dei nazisti, ma anche il disprezzo e la noncuranza dei democratici perfino durante il massacro, e dopo. Che cosa farsene dell’amore universale che improvvisamente li circondò? Trappola infernale, lo rifiutarono preferendo l’onore delle armi. Purtroppo, nella loro ansia di riscatto, di conquistare il rispetto sul campo di battaglia, si trovarono a guerreggiare con un rivale anacronistico, vecchio di tremila anni. Brutto affare un nemico non all’altezza. Finché gli ebrei furono pochi e male armati riuscirono a entusiasmare, ma ben presto i successi d’Israele cominciarono a essere guardati con crescente sospetto e riprovazione. La sedicente coscienza del mondo, l’Europa, non parlò più di gloria ma di sopraffazione. Con questo intervento in Libano ancora una volta Israele sceglie l’inamabilità, suscitando rimbrotti e accuse, mettendo in serio imbarazzo i suoi stessi sostenitori. Lo credo bene: si chiama Libano ma ha anche un altro nome il paese che le bombe colpiscono: Europa.
Ecco il secondo fronte, ecco a chi sono dedicate le bombe libanesi, e all’Onu, a tutti coloro che condannano il nichilismo ma ci convivono e fanno affari. Ancora una volta Israele trae la sua legittimazione a esistere non dall’altrui riconoscimento o pelosa carità, e nemmeno da un arcaico diritto o risarcimento, ma dalla Legge, quella Legge che con forza Israele pone innanzi a coloro che apertamente o subdolamente la trasgrediscono.
Per la paranoia, per il tentativo di fottere l’altro appellandosi a Dio o all’amore universale, la Legge è l’unica cura.
Un eccesso di severità, in quest’ultimo intervento, nell’applicarla? Il genio d’Israele poteva inventarsi qualcos’altro? Forse sì, forse no, cambio idea tre volte il giorno; l’ho scritto poc’anzi: sono un mucchio di gente e non tutta raccomandabile.

da Il Foglio - 10 Agosto 2006