Libera Idea

Google
 
Web Sito

giovedì, agosto 17, 2006

L'Italia in prima fila, ma pesano le ambiguità della risoluzione

di Stefano Folli - "La vera guerra in Medio Oriente comincia ora": così scrive sul quotidiano inglese "Independent " un analista serio come Robert Fisk.

Lo scenario descritto è cupo e vede al centro la guerriglia antiisraeliana di Hezbollah che trova nuovo alimento nelle conseguenze del conflitto in corso. In qualche misura l'analisi di Fisk coincide con le suggestioni evocate ieri alla Knesset dal governo israeliano, che non esclude, anzi dà quasi per scontata presto o tardi la ripresa delle ostilità con le formazioni sciite.In questo quadro la decisione dell'Italia di inviare un contingente di soldati nel Libano meridionale è senz'altro "forte e coraggiosa", come ha dettoil presidente americano in una telefonata a Romano Prodi.Coraggiosa e molto tempestiva, perché l'Italia è stata fra i primi paesi ad accreditarsi quale fornitore di truppe. Addirittura il ministro degli Esteri D'Alema ha annunciato che i militari saranno pronti a schierarsi fra due settimane.Tanto zelo si spiega con ragioni politiche, cioè con l'esigenza del governo Prodi di ritagliarsi un profilo internazionale di qualche rilievo. Lo ha spiegato molto bene Franco Venturini sul "Corriere della Sera". In tal senso, la copertura dell'Onu garantisce una cornice senza le frizioni politiche che hanno segnato, per esempio, la nostra presenza in Afghanistan.Una cornice, in altre parole, che si annuncia «bipartisan», almeno secondo le prime impressioni.Come dire che la missione in Libano non incontra perora dissensi importanti a sinistra e promette di raccogliere l'adesione del centrodestra. Per Prodi si delinea un successo politico e di immagine.D'altra parte, il presidente del Consiglio ha fatto bene a chiedere, nella conversazione con Bush, "un mandato chiaro" da parte dell'Onu. Di questa chiarezza finora non c'è traccia. Con quali regole i militari andranno sul terreno? La loro sarà una missione totalmente "di pace", nella quale si accontenteranno di osservare i movimenti sul campo, ovvero si faranno carico diintervenire?In altri termini, quali sono i compiti? C'è la possibilità di dover intervenire con le armi percostringere Hezbollah a ritirarsi? Peace keeping o peace enforcing? È un punto cruciale sul quale permane una forte ambiguità. La stessa ambiguità di cui è intrisa la risoluzione 1701. Non è forse un caso che due paesi importanti come Germania e Turchia, pur favorevoli alla forza multinazionale, abbiano sospeso il loro «sì» definitivo in attesa di maggiori informazioni. Che dovrebbero arrivare, si suppone, da un documento delle Nazioni Unite, forse una nuova risoluzione. Comunque in tempi non brevissimi.Nel frattempo il premier parla di "missione di pace". Ma forse per esserne certi occorrerebbe conoscere il punto di vista del governo libanese, cioè del nostro principale interlocutore. In tutte le sue componenti. Sotto questo aspetto il viaggio a Beirut di D'alema è fondamentale per capire il corso delle cose. Sappiamo per il momento che il governo di Siniora è attraversato da divisioni non di poco conto. Ieri un ministro ha accennato in modo esplicito all'urgenza che Hezbollah "lasci il Sud". Ma un suo collega lo ha di fatto smentito sottolineando che le forze Onu "non vogliono venire in Libano a combattere nessuno". Il rischio è che rimanga un velo di nebbia sulle "regole di ingaggio", mentre i governi, compreso quello italiano,insistono a vedere solo la missione di pace. La realtà potrebbe essere brutale.

da Il sole 24 ore