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mercoledì, giugno 27, 2007

Le nostre ambiguità

di Magdi Allam - E' vero che l'Italia non è considerata uno Stato credibile da parte di Israele e del governo libanese? E' vero che abbiamo sottoscritto un patto segreto con la Siria per salvare la pelle ai nostri 3 mila soldati dispiegati in Libano da un attentato dell'Hezbollah o di Al Qaeda? La rivelazione su un possibile accordo segreto tra D'Alema e Assad che impegnerebbe il nostro Paese a porre fine all'isolamento internazionale della Siria in cambio della garanzia che l'Hezbollah non compirà attentati, è stata smentita dal nostro ambasciatore a Tel AvivDeBernardin che ha assicurato che la notizia diffusa dall'edizione online del quotidiano israeliano Haaretz non è riconducibile a «fonti israeliane autorizzate ».
Ma certamente la questione della sicurezza del nostro contingente inquadrato in seno all'Unifil è stata al centro dei colloqui che D'Alema ha avuto con Assad lo scorso 5 giugno a Damasco. Il nostro ministro degli Esteri ha additato nella «presenza di gruppi legati ad Al Qaeda, il «pericolo maggiore» per i nostri soldati. E ha lasciato intendere che la collaborazione dell'Hezbollah e diHamasè stata determinante nell'azione di prevenzione del pericolo. Così come è altrettanto certo che la Siria ha sollevato con forza la questione dell'istituzione del Tribunale internazionale sull'assassinio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri, che vede imputata la leadership siriana. D'Alema a Damasco si è prodigato nel rassicurare i siriani che il Tribunale «non è diretto contro uno Stato» e che comunque «non partirà subito.
L'impegno italiano a contenere l'ostilità nei confronti della Siria, è riemerso nel giorno dei funerali a Beirut del deputato anti-siriano Walid Eido, ucciso in un attentato all'auto- bomba il 13 giugno, sostenendo la nostra contrarietà a fare «l' elenco dei buoni e dei cattivi». Una posizione controcorrente rispetto a quella degli Stati Uniti e del governo libanese che hanno addossato la paternità dell'attentato alla Siria. La posizione dell' Italia è risultata in contrasto con quella del governo libanese anche sulla cruciale questione del riarmo dell' Hezbollah. Mentre il 14 giugno un memorandum dello Stato maggiore dell'Esercito libanese, reso noto dall'inviato dell'Onu per il Medio Oriente Terje Roed-Larsen, ha accusato la Siria di aver fornito illegalmente armi all' Hezbollah nel Libano meridionale, lo stesso giorno il generale Claudio Graziano, comandante dell'Unifil, ha controbattuto che «nella mia area operativa non vi è alcuna attività ostile aperta e non vediamo alcun riarmo».
L'atteggiamento italiano risulta in contrasto con quello del premier Siniora che ha accusato i servizi segreti siriani di manovrare i terroristi binladiani di Fath Al Islam, di Saad Al Hariri che ha lanciato un appello ai Paesi arabi a «boicottare il regime terrorista siriano», e di Walid Jumblatt che ha definito il regime di Assad «una banda di assassini», ammonendo che «americani ed europei commettono un tragico errore flirtando con Assad ». Ciò che probabilmente sfugge a Israele e al governo libanese, è che per la verità non vi è alcuna novità nell'atteggiamento dell'Italia nei confronti della Siria e della strategia di prevenzione del terrorismo. D'Alema non sta facendo altro che perpetuare una prassi consolidata sin dagli anni Settanta quando esplose il fenomeno del terrorismo palestinese su scala internazionale. Ricordo come nel 1983 mi trovai al seguito dell'allora ministro degli Esteri Andreotti in una visita a Damasco del tutto simile a quella recente di D'Alema nello spirito e negli obiettivi.
E non fu affatto un caso che il contingente italiano inviato a Beirut a protezione dei civili palestinesi dopo l'evacuazione dei fedaiyin di Arafat, fu l'unico a non essere colpito dagli attentati dell'Hezbollah che, proprio allora, inaugurò il fenomeno dei kamikaze islamici. I soldati italiani furono risparmiati in virtù di un accordo segreto con i servizi segreti siriani, che si fecero garanti del comportamento dell'Hezbollah e del loro sponsor principale, l'Iran di Khomeini. Così come non c'è alcuna novità nell'impegno dell'Italia a sdoganare i regimi dittatoriali arabi. Il caso di maggior successo è stato quello della Libia di Gheddafi che, dopo anni di isolamento internazionale per la sua responsabilità nelle stragi di Lockerbie del 1988 e dell'aereo Uta esploso nei cieli del Niger nel 1989, ha potuto riscattare una verginità politica grazie all'impegno dei governi italiani di sinistra e di destra.
Probabilmente oggi è maggiormente accentuata una connotazione dell'Italia al fianco di Siria, Iran, Hezbollah e Hamas. Non può non lasciare perplessi il fatto che la Farnesina non abbia né condannato il sanguinoso golpe militare di Hamas a Gaza né dato il suo appoggio al nuovo governo costituito dal presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen. Quindi se è vero che l'Italia perde il pelo ma non il vizio nel flirtare con stati spesso sponsor del terrorismo, teniamo però presente che oggi il nemico non sta solo al di là dei confini ma ce l'abbiamo fin dentro casa nostra.

da Corriere della Sera

mercoledì, giugno 20, 2007

Pace in cambio di pace

di Deborah Fait - E' molto difficile capire quello che passa nella testa di Abu Mazen.
E' appena uscito da una guerra civile che non e' ancora finita, ha sulle spalle la responsabilita' di essere stato per tutti questi anni, dalla morte del suo infame predecessore, una specie di mummia e adesso, appena fatto il nuovo governo a Ramallah, ecco che, tutto ringalluzzito, incomincia a spiattellare le sue pretese. Chiede soldi, chiede aiuti, chiede la liberazione dei prigionieri e, anatema, vuole che Israele rilasci un pluriassassino condannato a 5 regastoli, quel Marwan Barghouti, capo dei Tanzim, la famigerata polizia di Arafat, dalle cui fila sono usciti molti degli assassini suicidi che hanno fatto stragi in Israele.
La nuova situazione seguita al "colpo di stato" di hamas a Gaza crea nuove speranze e la possibilita' di avere diversi rapporti con il nuovo governo di Ramallah.
Israele ha fatto capire chiaramente di essere disposto a trattare con Abu Mazen purche' Hamastan venga isolato e non possa piu' nuocere alle possibilita' di pace e purche', aggiungo io, Abu Mazen non voglia cose che nessun politico di un paese aggressore e terrorista puo' avere la faccia tosta di pretendere.
Personalmente non sono ottimista, i palestinesi sono palestinesi e quelli di Ramallah sono gli stessi che ballavano per le strade e nelle piazze ogni volta che un kamikaze faceva strage in Israele.
Sono gli stessi che a Gaza, in questi giorni, hanno commesso atrocita' inenarrabili, entrando nelle case, sparando a bruciapelo a famiglie intere, gettando dal 15simo piano di un edificio giovani legati mani e piedi, sparando per le strade sulla folla.
I palestinesi sono sempre quelli dell'assassinio cumulativo, sparare nel mucchio , far esplodere autobus e bar e ristoranti con le loro stramaledette bombe umane.
I palestinesi sono ancora quelli educati all'odio e alla ferocia dalla scuola materna fino al giuramento davanti al Corano e al kalashnikof con la fascia verde dell'Islam sopra il passamontagna nero e il giubbotto esplosivo stretto al petto.
Non credo che quelli di Ramallah siano diversi.
Vogliamo dargli una chance? benissimo ma sono loro che devono ascoltare le nostre richieste, non noi le loro. Chi ha sempre aggredito e rifiutato ogni dialogo per obbedire agli ordini di Arafat "gettare gli ebrei in mare", adesso deve accettare le decisioni altrui , chi ha educato i propri figli a diventare assassini deve chinare la testa e dimostrare di voler cambiare.
I palestinesi sono sempre stati abituati a pretendere, sono stati viziati dai loro ammiratori sparsi per il mondo, qualsiasi cosa facessero, qualsiasi atrocita' commettessero era scusata e capita in nome dell'"occupazione", in nome della favoletta fatta diventare realta' dalla propaganda di "popolo cui i perfidi ebrei hanno rubato la terra".
Adesso basta!
Adesso si spera che il mondo, che ha sempre guardato altrove quando le atrocita' e la barbarie venivano fatte contro Israele, capisca, non puo' non aver visto che la barbarie fa parte della loro cultura al punto che possono trucidare la loro stessa gente, bambini compresi.
Chissa' se i pacifinti, adesso cosi' silenziosi, ( vergogna? Imbarazzo?) si rendono conto di che genere di gente hanno protetto finora.
Chissa' se quei delinquentucoli che bruciavano bandiere urlando "palestina libera- Palestina rossa" riusciranno a capire che la loro Palestina altro non era che un crogiuolo di criminali assassini e che potrebbe nascere una nuova Palestina soltanto se quei criminali assassini verranno isolati a Gaza come a Ramallah.
Chissa' se qualcuno ammettera' che la Palestina , per poter avvicinarsi ad essere una democrazia, non potra' mai essere rossa come vorrebbero i figli di Arafat, i vari Diliberto, Agnoletto e loro seguaci urlanti, ne' rossa come il sangue sparso da hamas, men che meno rossa come il sangue dei nostri figli.
La nuova Palestina dovra' adottare il colore del lavoro, della convivenza, del rispetto e della liberta' se no morira' per sempre.
Mi torna alla mente l'aneddoto su Sharon durante un pranzo con Condoleeza Rice nella sua fattoria nel Neghev.
Sharon elencava a una sorpresissima Condoleeza tutte le disgrazie dei palestinesi , poveri , governati male, bisognosi di tutto, succubi di una dittatura.... "Peccato che siano anche , disse a un certo punto Sharon e, rivolgendosi al suo segretario gli chiese, facendogli andare per traverso l'avocado che stava gustando, "come si dice in inglese assetati di sangue e traditori?"
A questo punto e' stato il turno di Condie di farsi andare per traverso l'avocado.
Nessuno conosceva i palestinesi meglio di Sharon, li aveva combattuti, salvati dalle stragi arabe contro di loro, li aveva come vicini di casa. Li conosceva come le sue tasche e non si faceva troppe illusioni!
Bene, i palestinesi, almeno quelli del West Bank, devono cessare di essere assetati di sangue e traditori se vogliono entrare a far parte del consesso civile, devono dimenticare la scuola dell'odio di Arafat e soprattutto devono piantarla di mendicare soldi per produrre morte .
E Gaza? Gaza continua ad essere mantenuta da Israele che la rifornisce di acqua, elettricita', cibo, medicinali.
Paradossalmente chi dichiara apertamente di volere la distruzione di Israele accetta gli aiuti dal Paese che vuole eliminare.
Perche' non li aiuta l'Egitto? Perche' un paese arabo non si decide di soccorrere altri arabi?
Perche' l'Egitto non si riprende Gaza? ormai tutti hanno capito che quelli la' non potranno mai diventare una nazione, sono dei barbari , degli inetti incapaci di autogestirsi.
Gaza va isolata o hamas va distrutto non ci sono altrenative.
E finiamola di chiedere a Israele di dare, di fare, di mantenere.
Adesso si parla , sempre piu' insistentemente, di restituire il Golan alla Siria in cambio della cessazione del terrorismo.
Per chi fosse ottenebrato dalla propaganda voglio fare una brevissima lezioncina di storia e geografia.
Il Golan non e' siriano.
Il Golan, la Siria, l'Iraq hanno fatto parte del Mandato Francese di Palestina, come il resto era sotto la sovranita' del Mandato Britannico.
Questa la situazione dalla fine della Grande Guerra fino al 1947, prima, per 400 anni, tutto era proprieta' dell'Impero ottomano.
La Siria che ha ottenuto l'indipendenza nel 1947 si e' impossessata del Golan, pur non avendo nessun tipo di legame storico con quel territorio , soltanto per poter dominare Israele e sparare sugli ebrei.
La Siria ha mantenuto la sovranita' sul Golan fino al 1967.
Quanto fa? Vent'anni.
In questi 20 anni la Siria non ha fatto altro che sparare, non ha costruito un villaggio, una stalla, non ha coltivato un solo filo d'erba.
Israele ha conquistato il Golan nel 1967 ed e' tuttora israeliano .
Dal 1967 a oggi quanto fa? Quarant' anni giusti giusti.
In questi 40 anni Israele ha costruito citta', kibbuz, coltivato a perdita d'occhio vigneti che producono l'ottimo vino del Golan, ha creato allevamenti di mucche e di cavalli.
L'altipiano e' verde come uno smeraldo e , grazie ai mulini, fornisce energia pulita a mezzo Israele. Sono ritornate persino le cicogne e gli uccelli migratori che durante l'occupazione siriana avevano cambiato rotta a causa dei continui spari.
Allora, adesso qualcuno deve spiegarmi, in modo chiaro e convincente, perche' 20 anni di spari siriani valgono di piu' di 40 anni di lavoro e dedizione israeliani?
Israele e' l'unico paese al mondo che ha restituito territori legittimamente conquistati durante guerre di aggressione.
Non esistono altri esempi, nessuno costringe Slovenia e Croazia a restituire l'Istria all'Italia, nessuno cosrtinge la Francia a restituire all'Italia Nizza e la Corsica. E nessuno costringe l'Italia a restituire il Sudtirol all'Austria per non parlare di tutti i territori passati di mano durante la seconda guerra mondiale.
Allora chi e' in grado di spiegare perche' da Israele si pretendono passi mai richiesti a nessuno?
Perche' gli arabi che possiedono il 99,99% di tutto il Medio Oriente , per convincersi a fare la pace con Israele, devono chiedere altra terra, mai sazi , mai paghi, interessati soltanto a rendere Israele sempre piu' minuscolo e vulnerabile.
La pace si da per altra pace, volere in cambio territori conquistati da chi ha vinto tutte le guerre da cui si e' strenuamente difeso, e' immorale, ingiusto, inaccettabile.

da www.infoprmazionecorretta.com

venerdì, giugno 01, 2007

L’estate delle tre guerre civili

di Antonio Ferrari - Quella che ormai è alle porte potrebbe essere un'estate terribile per l'intero Medio Oriente. Se nel passato, un sanguinoso conflitto agiva da anestetico per tutte le altre situazioni regionali di tensione, oggi accade il contrario, con il gravissimo rischio di dover assistere impotenti a tre guerre civili contemporanee (Palestina, Libano e Iraq).
Tre guerre civili moltiplicate per lo strapotere e la crescente arroganza iraniana. Le crisi sono infatti fatalmente intrecciate, come le violenze nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared, nel settentrione libanese, stanno dimostrando.Eancora una volta, cause, pretesti e alibi si affollano sulla Palestina. L’ultima tregua, annunciata a Gaza, è molto meno di un’illusione perché gli attacchi e le vendette interpalestinesi tra i fondamentalisti di Hamas e i laici del Fatah sembrano entrati nella fase più pericolosa. La situazione, nella Striscia, è incontrollabile, «e noi non siamo in grado di governarla», ha ammesso sinceramente, al vertice del World Economic Forum sul Mar Morto, il ministro dell’informazione dell’Anp Saeb Erekat.
A Gaza regna l’anarchia. Con agguati, sparatorie, assedi e attentati, come quello che era stato preparato contro lo stesso presidente Abu Mazen, il quale si sforza di dimostrare di non essere prigioniero degli estremisti, e di non essere soltanto il «sindaco» di Ramallah. AbuMazen, figura tragica, è debole, come in realtà è debole l’attuale governo di Israele, e come appare debole la comunità internazionale, attonita e impotente di fronte al disastro che si sta producendo. AlForum faceva quasi tenerezza il re di Giordania, mentre annunciava al mondo che occorre «prepararsi al giorno dopo il raggiungimento della pace».
Non era certo una dichiarazione dettata da un poco realistico ottimismo ma il tentativo, quasi disperato, di scuotere attori e comprimari di un dramma collettivo. Re Abdallah, che guida un Paese che ha il 65 per cento della popolazione di origine palestinese, comprende più di ogni altro che se non si trova un accordo, «subito, entro l’anno» per riaprire un alito di negoziato, tutto precipiterà, e con esso svanirà anche la visione dei «due Stati, Israele e Palestina, che vivano l’uno accanto all’altro in pace e sicurezza», sulla quale—a parole— tutti sono d’accordo. Il tentativo del re è di coniugare il raffreddamento del conflitto inter-palestinese con la realizzazione del piano arabo, approvato a Riad da tutti i 22 Paesi appartenenti alla Lega, e nel frattempo alleviare le sofferenze della gente di Gaza con interventi economici che consentano di far sfiatare, almeno in parte, le tensioni. Incoraggiante, per esempio, la creazione di un Business Council con 15 imprenditori israeliani e altrettanti palestinesi.
Incoraggiante anche la decisione dell’emiro di Dubai, Al Maktoum, di stanziare 10 miliardi di dollari per educazione, ricerca e crescita professionale dei giovani arabi della regione. Ma queste iniziative, pur lodevoli, non placano gli odii che lacerano il fragilissimo e già compromesso tessuto politico dell’Anp. Da Gaza, gli estremisti martellano con i razzi l’insediamento di Sderot, e Israele risponde con raid ed esecuzioni mirate. La Striscia è una giungla, e il solo pensiero di dispiegarvi una forza internazionale di pace è «ridicolo», scrive l’editorialista giordano Mousa Keilani. «Siamo noi che dobbiamo cominciare, aiutandoci da soli», gli fa eco il ministro palestinese Erekat, per poi chiedere il sostegno degli altri, a cominciare dai fratelli arabi.
Ma i sauditi pensano a contenere lo strapotere iraniano e a neutralizzare le manovre siriane sul Libano, appoggiando con ogni mezzo il premier Fuad Sinora e i suoi alleati. Damasco, che teme il processo internazionale sull’assassinio di Rafic Hariri, è pronta a tutto pur di impedirlo. L’Iraq sembra la preda di troppi appetiti e il terreno ideale per un devastante scontro fra sciiti e sunniti. Ela sfida nucleare di Teheran ripropone l’incubo di una guerra generalizzata. Lo scenario è angosciante, «ma noi dobbiamo reagire, tutti assieme. E fare qualcosa. Subito», ammonisce re Abdallah. Come non dargli ragione?

da Corriere della Sera