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sabato, marzo 24, 2007

I talebani cantano vittoria: il "prezzo elevato" per la libertà di Mastrogiacomo

La scarcerazione di 5 esponenti di spicco dei talebani, in cambio del rilascio di Daniele Mastrogiacomo, suscita esaltazione tra gli estremisti islamici, che la celebrano come una vittoria. Nella popolazione vi è invece ira e critiche a Kabul per la scarsa attenzione verso i due connazionali presi in ostaggio (l’autista – decapitato - e l’interprete di Mastrogiacomo). Nella comunità internazionale vi sono polemiche più o meno esplicite.

La liberazione ieri del giornalista italiano in Afghanistan ha dato il via sul web ad una pioggia di messaggi di complimenti ai talebani “per lo scambio dei prigionieri con il miscredente italiano”. L’italiano era stato catturato il 5 marzo dagli uomini del comandante talebano Dadullah insieme a Sayeh Agha, l’autista, e all'interprete, Ajma Naqshbandi. “Partecipa al registro di messaggi di complimenti da inviare ai talebani” si legge sulle pagine di alcuni forum islamici, dove vengono raccolte le congratulazioni dei sostenitori di al-Qaeda per l'esito positivo delle trattative sul rilascio del reporter. “Che bella notizia - scrive Sanafi al-Nasr - vogliamo la libertà anche per gli altri nostri fratelli detenuti”. Seguono poi inviti a proseguire nella lotta contro le truppe Nato in Afghanistan.

Secondo esperti del luogo, la libertà di Mastrogiacomo ha richiesto un “prezzo elevato”: l’autista del reporter, 24 anni, è stato decapitato, mentre del suo interprete si sa poco. Attualmente egli si trova nelle mani della polizia afghana, che lo interrogherà sulla vicenda e forse sul perché non aveva messo al corrente le autorità del suo lavoro con l’italiano. Inoltre – aggiungono – i talebani hanno ottenuto il riconoscimento di “interlocutori politici, con cui trattare”, che era un altro dei fini del sequestro. Esponenti del governo italiano hanno perfino invitato i talebani al tavolo di una possibile Conferenza di pace, mentre il portavoce delle Nazioni Unite in Afghanistan, Adrian Edwards, ha tenuto a sottolineare: “L’Onu non tratta coi terroristi”.

Non si è fatta attendere nemmeno la reazione della popolazione locale. Oggi a Lashkargah davanti alla sede di Emergency – l’ong che ha fatto da mediazione – circa 200 persone hanno manifestato contro il governo del premier Hamid Karzai, colpevole di “rilasciare 5 criminali per uno straniero infedele e non per un povero afghano”, come ha gridato uno zio di Sayeh Agha, l’autista decapitato, il cui corpo è stato oggi consegnato alla famiglia. La moglie del giovane 24enne, padre di 4 figli, aveva perso il bambino di cui era incinta appena appresa la notizia della morte del marito.

da
AsiaNews

domenica, marzo 18, 2007

Il Dispotismo Fiscale

di Simonde de Sismondi - Non passa praticamente giorno senza che qualche rappresentante del governo non colga l’occasione per fare la solita lezioncina di onestà fiscale, sostenendo che le tasse vanno pagate e che queste sono una delle massime conquiste della civiltà umana: slogan spesso gratuiti che i vari organi di stampa e i telegiornali, durante i governi di sinistra ridotti a semplici diffusori di slogan di regime, riportano puntualmente. In questa esibizione di misticismo fiscale, si distinguono in particolare il ministro del tesoro Padoa Schioppa ed il suo collega Visco. Il primo, come già si è visto, stende ridicoli editoriali in cui, all’interno di sommarie e approssimative analisi storico economiche, sostiene che le tasse sono una delle più alte e gloriose scoperte del genio umano; l’altro invece si produce in ripetitivi sermoni che variamente propina in ogni possile occasione pubblica o magari trasmette direttamente alle agenzie di stampa a mo’ di pensiero o meditazione edificante, evidentemente per mantenere vivo il fervore e l’afflato fiscale dei contribuenti. Giorni fa, ad esempio, ha dichiarato che “Il prelievo delle imposte, come l'attività' giurisdizionale, sono compiti che possono avere un impatto molto invasivo nei confronti delle persone e che dunque vanno svolti con equilibrio e prudenza. Nello stesso tempo, però, va anche sottolineato che essi vanno esercitati nella consapevolezza che il rispetto della legalità e' alla base del patto sociale e della convivenza civile nei sistemi democratici “..e che “Le leggi vanno rispettate e ahimè le tasse vanno pagate”.

Ciò che curiosamente caratterizza queste dichiarazioni oltre alla demagogia gratuita con cui si affronta una questione così delicata e complessa è lo strano concetto di legalità che il ministro dimostra di avere: infatti, secondo la sua personale filosofia dell’oppressione fiscale, il cittadino è obbligato sempre e comunque a pagare le tasse, mentre lo stato non è egualmente obbligato ad osservare alcun limite alla sua attività impositiva. Esso è stranamente libero di imporre ogni tipo di tassa nella quantità e qualità desiderata. Si tratta a tutta evidenza di un principio puramente dispotico, che concepisce il rapporto tra stato e cittadino in maniera simile a quello esistente tra padrone e servo: come un antico schiavo o un servo della gleba, il cittadino deve devolvere il suo reddito al proprio padrone e soltanto a questo, alla sua umanità e sua bontà o alla sua volontà di ricompensare i servigi ottenuti spetta stabilire quali e quanti beni debbano restare nella disponibilità del primo. Nel caso del governo dell’Ulivo-Unione i criteri che determinano tale ripartizione sono ideologismi declinati in forma pseudo-valoriale quali la solidarietà, la giustizia sociale o vaghe esigenze assistenziali, o simulate emergenze di contabilità europea ma la sostanza fondamentalmente non cambia: la disponibilità del proprio reddito e dei propri beni non sono disciplinati da norme precise e durevoli nel tempo e che quindi consentano ai cittadini di agire liberamente prevedendo le possibili conseguenze delle loro decisioni, ma sono in balia di accordi, trattative e decisioni verticistiche di ristrette nomenklature politico-sindacali, che detenendo in toto il controllo dello stato e degli apparati propagandistici, la cosiddetta stampa libera, possono stravolgere e adattare ai propri interessi ogni forma di legalità. E le reiterate dichiarazioni che il Visco e il Padoa Schioppa rilasciano ormai quotidianamente, secondo cui l’eventuale riduzione delle tasse dipenderà soltanto dalla conseguente riduzione dell’evasione fiscale e dal buon andamento delle entrate non fanno altro che confermare questa realtà: la politica economica e fiscale del governo non solo ignora totalmente fondamentali diritti di proprietà e di libera disponibilità dei redditi da parte degli individui, ma addirittura si pone come obiettivo fondamentale la loro crescente riduzione se non addirittura la loro eliminazione. Si tratta, come si vede, a tutti gli effetti di una grave minaccia al fondamentale valore della libertà personale. Se, infatti, non sono gli individui a decidere liberamente cosa fare dei propri redditi ma tale diritto spetta solo ed esclusivamente allo stato, ne deriva che questo sia l’unico portatore di valori: cacciato dalla porta, lo stato etico rientra dalla finestra, come sempre ammantato di ideologismi pseudo-civici, quali il conformismo fiscale, o valori pseudo-democratici quali la solidarietà, il bene comune o di afflati variamente protettivi.. In realtà, l’unico valore che questa politica promuove, è la semplice obbedienza dispotica allo stato, che di per sé può realizzarsi soltanto attraverso lo svuotamento e l’eliminazione di ogni altro valore morale.

Quasi ogni giorno ci si lamenta del progressivo venire meno di valori fondamentali quali la responsabilità personale e il rispetto degli altri a favore di uno stile di vita concepito come semplice espressione dei propri desideri e delle proprie pulsioni. Tuttavia, sono in realtà rare le analisi che mettono in relazione questo fenomeno con la progressiva invadenza da parte dello stato della sfera decisionale degli individui. Una società che demonizza e limita fortemente l’autonomia e la libertà individuale, di cui quella economica è componente fondamentale, non può certamente aspettarsi comportamenti responsabili da parte dei suoi membri.

Ma ciò che accade in Italia è indubbiamente nulla se paragonato alle politiche “progressiste” che si affermerebbero in Francia, qualora nelle elezioni presidenziali prevalesse Segolène Royal, l’ennesimo candidato “anima bella” scelto come paravento per coprire le rughe di una sinistra ormai incartapecorita e sclerotizzata, e il suo ministro Strauss-Kahn. Infatti, qui oltre alla consueta “tassolatria” e alla demonizzazione del profitto che, come da noi le “rendite”, “è “rapace, puzzolente e arrogante” salvo poi magicamente depurarsi e trasformarsi in essenza inodore o profumata se trasformato in tasse, si è escogitato la geniale proposta di tassare i cittadini francesi residenti all’estero. Anche in questo caso, si afferma fondamentalmente il principio secondo cui gli individui non sono esseri autonomi e indipendenti, ma proprietà dello stato-tribù e che in nessun modo essi possono sottrarsi al suo dominio e ai suoi soprusi.

Messa di fronte all’ormai ineludibile problema della sua sostenibilità economica, provocato esternamente dalla globalizzazione economica, che ha ridotto drasticamente il vantaggio competitivo dei singoli sistemi paese, e internamente dal progressivo invecchiamento della popolazione, che si ripercuote rispettivamente sul sistema sanitario e quello previdenziale, l’ideologia del primato del pubblico rivela la sua autentica natura dispotica ed autoritaria. Ma pur di non rinunciare ai suoi miti ideologici e di non fare i conti con la realtà, preferisce asservire e schiavizzare gli individui, riducendo progressivamente la loro autonoma sfera decisionale, nonché le loro disponibilità economiche. Tuttavia, è facile pensare che questi provvedimenti non faranno altro che accelerare la crisi dello stato assistenziale: se realizzati, essi avranno lo stesso effetto dell’assunzione di una maggiore quantità di vino in un alcolizzato: invece di guarire, la malattia si aggraverà provocando la morte dell’intero organismo.

da www.legnostorto.com

sabato, marzo 10, 2007

I crimini fuori moda

di Luca Cosentino - Ci sono cause ed eventi per i quali centinaia di migliaia di manifestanti di sinistra scendono in piazza per protestare, per raccogliere firme, per sfilare, per incitare ai boicottaggi.
Ci sono altre cause ed eventi, invece, per i quali le stesse persone che sfilano, protestano, firmano e boicottano, non provano alcuno sdegno, non manifestano, non protestano, non raccolgono firme, non fanno nulla. Quella che segue è una di quelle tante storie che non ha suscitato indignazione e proteste nè il minimo interesse dei mass media.
Si potrebbe dire che la breve storia di questa ragazza sia sostanzialmente fuori moda, inidonea a provocare e scuotere la coscienza soprattutto di quella nutrita parte della popolazione occidentale che non perde occasione per manifestare per le cause più nobili!!!
Faramaz Mohammad è stata impiccata nella piazza centrale della città iraniana di Tabriz perchè leader del Movimento studentesco.
Faramaz Mohammad aveva 19 anni.
E’ stata giustiziata con l’accusa di aver guidato la protesta studentesca alle autorità iraniane. Faramaz è stata impiccata dopo un processo sommario senza nessuna accusa circostanziata.
A 19 anni era semplicemente una leader del movimento studentesco che da mesi sta protestando contro la mancanza di democrazia nel Paese. In realtà stava facendo qualcosa di veramente pericoloso: cercava di far entrare il terzo millennio anche nel suo Paese tenuto a forza nel Medioevo dai pasdaran, i “guardiani della rivoluzione” islamica.
Sono passati quattro anni dall’accaduto e, ovviamente, le notizie sono scarse: il Xalq Qazeti, giornale dell’Azerbaijan, una delle ex repubbliche sovietiche che confina con il nord dell’Iran, ha pubblicato la notizia che una ragazza di origine azera, Faramaz Mohammad, 19 anni, era stata impiccata sulla piazza pubblica di Tabriz con l’accusa di aver avuto un ruolo di rilievo nella protesta studentesca che ha opposto gli universitari alle squadre paramilitari alle dirette dipendenze degli ayatollah.
L’articolo è stato individuato e tradotto dai corrispondenti del servizio internazionale della BBC inglese e diffuso alle agenzie.
In Italia nessuno dei grandi media ha ritenuto la notizia degna di pubblicazione.
Pochi sono i dettagli forniti dalla BBC: l’arresto risale alla fine di giugno 2003, il processo si è tenuto davanti alla Corte dei Rivoluzionari di Tabriz, i giudici erano stati scelti dalle autorità religiose, così come l’avvocato difensore pro forma e, infine, non le è stato consentito di presentare appello.
A meno di un mese dall’arresto è stata impiccata, senza nemmeno quel minimo di preavviso che di solito si dà alla famiglia per un ultimo colloquio.
Il corpo della ragazza, che frequentava la facoltà di letteratura, è stato riconsegnato al padre, che fino all’ultimo aveva sperato in un gesto di clemenza.
La famiglia credeva infatti che le proteste occidentali per Zahra Kazemi, la giornalista canadese di origine iraniana picchiata a morte nel giugno di quell’anno in una caserma dei Pasdaran per essere stata sorpresa a fotografare gli scontri, avrebbero indotto le autorità religiose ad ammorbidire la linea di repressione.
Invece la procedura di esecuzione è proseguita con la massima velocità. L’unico privilegio concesso alla famiglia, che non ha mai potuto visitare la ragazza in prigione, è stato di ottenerne il cadavere dopo ripetute ed estenuanti suppliche. La giovane Faramaz è stata seppellita ad Ardabil, la capitale dei tappeti persiani, al confine tra Iran e Azerbaijan.
La famiglia tuttora piange e ricorda con rabbia il funzionario che insisteva perché comprendessero di doversi considerare fortunati per aver ricevuto il corpo della ragazza.
Questo è solo uno dei tanti casi di violenza perpetrata sistematicamente da Stati per i quali evidentemente il popolo dei giornalisti e dei manifestanti di sinistra prova una certa simpatia.
Avete mai visto un Diliberto, Bertinotti, Pecoraro, Cento, l’ex repubblichino fascista Dario Fo, o qualche altro compagno manifestare per i crimini commessi dai regimi cinesi, cubani, iraniani o siriani?

da http://www.giustiziagiusta.info

venerdì, marzo 02, 2007

La giungla dei ricatti ucciderà i partiti

di Giampaolo Pansa - L'ho sempre saputo che Massimo D'Alema era provvisto di humour. Il 29 gennaio ha detto a Massimo Giannini di 'Repubblica': "Sto partendo per il Giappone, quando ritorno fatemi trovare il governo!". L'ironia era rivolta a due ministri dell'Unione: Clemente Mastella e Alfonso Pecoraro Scanio, per i loro proclami da scassapagliai. Mastella aveva gridato sui Pacs: "Non li voto, a costo di far cadere Prodi". E Pecoraro si sta dannando per spingerci al ritiro da Kabul, invece di occuparsi, come dovrebbe, dell'ambiente.

Tuttavia, i due ministri citati da D'Alema non sono i soli a far ballare il governo Prodi. Dentro il centro-sinistra, emerge ogni giorno di più una tragica Babele dei ricatti. Tutti pretendono qualcosa e minacciano sfracelli pur di ottenerla. Si ricatta sulla missione in Afghanistan e tre ministri dell'area radical-regressista rifiutano di votarla. Si ricatta sulla base Usa di Vicenza. Si ricatta sulla riforma delle pensioni. Si ricatta su che cosa e quando liberalizzare. Insomma, si ricatta su tutto e il contrario di tutto.

Già prima del voto, Romano Prodi annusava la Babele in arrivo. Nell'intervista per 'L'espresso' mi disse: "Io voglio governare, non mediare". Ma non immaginava il Vietnam partitico che sarebbe emerso subito dopo l'anoressica vittoria elettorale. L'Unione si è rivelata una giungla zeppa di avversari pronti a sterminarsi. E sin dal giorno d'inizio, l'essere al governo non è mai stato come trovarsi in un pranzo di gala.

Ricavo l'immagine da un intervento di Rina Gagliardi, senatrice di Rifondazione, capace di analisi non banali. Domenica 28 gennaio, in un lungo articolo su 'Liberazione', ha spiegato a chi è più massimalista di lei l'aria che tira dentro il governo dell'Unione. Aria di battaglia incessante, di bracci di ferro senza sosta, di contrasti difficili da conciliare. "Per noi, sinistra radicale" scrive, "la scelta di stare in questo governo configura, oggi come ieri, un faticosissimo terreno di lotta. Un cantiere dove si lavora per strappare i risultati più avanzati possibili. Un luogo dove si danno e si prendono botte".

da espresso.repubblica.it