Libera Idea

Google
 
Web Sito

giovedì, dicembre 28, 2006

Se nel Corno d’Africa nasce il nuovo Califfato del terrore

di Magdi Allam - Sarei pronto a scommettere che di qui a qualche mese prevarrà la tesi secondo cui se la Somalia sarà diventata il nuovo fronte della «guerra santa islamica» di Bin Laden e dei suoi emuli, la colpa sarà di Bush che avrebbe istigato l’Etiopia a occupare un Paese che, tutto sommato, stava cominciando a conoscere una certa tranquillità.

Ma dato che mi auguro di perdere la scommessa, cerchiamo almeno di chiarire di cosa stiamo parlando. Si tratta forse di un’invasione militare dell’Etiopia tesa a occupare la Somalia? No, perché se fosse stato questo l’obiettivo, l’avrebbe potuto molto più agevolmente conseguire tra il 1994 e il 2005, quando la Somalia è stata letteralmente una «terra di nessuno», senza alcun potere centralizzato e alcuna forza in grado di resistere all’esercito etiopico. È comunque una guerra tra l’Etiopia e la Somalia? No, dal momento che l’esercito etiopico è entrato in Somalia su richiesta del Governo transitorio somalo, che è la sola autorità riconosciuta dalla comunità internazionale.

È una guerra a connotazione religiosa tra un Paese filo-occidentale e cristiano, contro un altro musulmano legato al Mondo arabo e islamico? Non dovrebbe esserlo, perché in realtà la maggioranza degli etiopici sono musulmani, così come il suo esercito continua a affidarsi a un armamento prevalentemente russo, mentre l’intesa con gli Stati Uniti è un fatto recente. È una guerra sostanzialmente illegale scatenata in aperta violazione del diritto internazionale? No, dal momento che l’Unione Africana ha riconosciuto il diritto dell’Etiopia a difendere la propria sovranità minacciata dalle mire espansioniste delle Corti islamiche che hanno riesumato il proposito di realizzare la «Grande Somalia», e che le stesse Nazioni Unite si sono finora astenute dal condannare l’azione militare etiopica pur auspicando una soluzione politica.

È una guerra neo-coloniale per mettere le mani sul petrolio o altre risorse naturali? No, perché sia la Somalia sia l’Etiopia sono tra i paesi più poveri del mondo, con un reddito pro-capite rispettivamente di 600 e 800 dollari. È una nuova tappa della guerra al terrorismo islamico globalizzato decisa dagli Stati Uniti per interposta persona? Sì e no, perché a preoccuparsi della manifesta collusione tra il regime delle Corti islamiche somale e Al Qaeda non è soltanto Washington, masoprattutto il governo di Addis Abeba che teme più di altri il contagio dell’estremismo islamico. È nella questione del terrorismo islamico che si intravede il bandolo della matassa per capire la natura del conflitto appena esploso nel Corno d’Africa. Una realtà che avrebbe dovuto essere manifesta a tutti noi quando un recente rapporto dell’Onu ha denunciato la presenza in Somalia di migliaia di terroristi islamici provenienti da Yemen, Eritrea, Siria e Libia, quando il 9 ottobre scorso le Corti islamiche hanno dichiarato la Jihad, intesa come «guerra santa», contro l’Etiopia, quando il 23 dicembre hanno lanciato un appello «a tutti i combattenti islamici del mondo per prendere parte alla Jihad in Somalia».

Ecco perché diventa facile presagire che prossimamente la Somalia si trasformerà in un campo di battaglia del terrorismo islamico globalizzato, una sorta di nuovo Iraq. Ebbene, a meno che non si immagini che la guerra in Somalia sia una sorta di metastasi del cancro iracheno, quanti hanno finora sostenuto a squarciagola che, se non ci fosse stato l’intervento americano in Iraq, il terrorismo islamico non sarebbe stato così dirompente ovunque nel mondo, dovrebbero riconsiderare quello che appare sempre più un atto di fede inficiato da un pregiudizio piuttosto che una realtà suffragata dai fatti.

Proprio la vicenda somala dimostra che questo terrorismo islamico globalizzato è tutt’altro che reattivo, bensì il frutto deliberato di una strategia aggressiva decisa e attuata da potenti burattinai con lo scopo manifesto di dar vita a un Califfato Islamico Internazionale. Né si scongiurerà questa nefasta prospettiva continuando a corteggiare, così come stanno facendo l’Unione Europea e la Lega Araba, le Corti islamiche affinché tornino al tavolo del negoziato. Ma se sono stati loro a farlo fallire e a tentare un colpo di mano per eliminare del tutto il Governo transitorio somalo arroccato a Baidoa! Così come risparmiamoci il ridicolo di rispolverare il mito dell’Onu, le cui forze abbandonarono vergognosamente nel caos la Somalia nel 1995, continuando a immaginarlo come una bacchetta magica per la soluzione del conflitto. La verità è che non ci sono scorciatoie: se vogliamo la pace in Somalia, dobbiamo affrontare insieme la minaccia del terrorismo islamico globalizzato che è riuscito anche lì, tra l’indifferenza generale, a insediare il proprio potere.

da Corriere della Sera

martedì, dicembre 05, 2006

Il comunismo risorto

di Lino Siciliano - La vittoria del presidente Venezuelano Chavez è l'ultima, in ordine di tempo, conferma che il neo-comunismo sta attecchendo, un comunismo diverso perchè al passo con i tempi ma con un alleato forte e motivato.
Alla vittoria di Chavez hanno risposto entusiasti Ahmadinejad presidente dell'Iran, Morales presidente della Bolivia, Lula presidente del Brasile, Correa presidente dell'Ecuador e gli auguri di Fidel a cui il neo-presidente fa spesso riferimento.
Questa è la punta dell'iceberg, per capire quali sono i retroscena bisogna fare un passo indietro.
Al primo mandato Chavez ha stretto rapporti con l'islam di cui l'Iran è il maggiore esponente in quanto hanno un nemico comune l' "america di Bush" e stretto rapporti con Castro da cui ha avuto aiuti medici in cambio di Petrolio e con cui è affine ideologicamente.
Ma questo "neo-com" non auspica la sottrazione della proprietà, che l' Urss prima e la Cina dopo hanno dimostrato impraticabile, ma un "socialismo venezuelano, bolivariano e democratico, contro l'imperialismo".
In altre parole la lotta di classe resta ma fatta in modo democratico e populista.

Che questo modo sia vincente lo dimostrano appunto Correa in Ecuador, Morales in Bolivia e in parte Lula ma con toni meno marcati ma comunque tutti con Bush, l'america e l'imperialismo.
Una guerra ideologica che ha trovato la sponda in un altra parte del mondo anch'essa anti-americana e anti-imperialista ovvero l'islam radicale, un connubio tra ideologie diverse ma che hanno un comune sentire l'anti-americanismo.
In questo scenario la posizione più scomoda è quella Europea da una parte ci sono spinte "neo-com" vedi in Italia, Germania e Francia dall'altra c'è una forte immigrazione islamica e spesso radicale che hanno trasformato l'Europa in quello che osservatori americani chiamano Eurabia.
Ma mentre in sud-america abbiamo il primo fenomeno ma manca, tranne casi rari, il secondo, in europa le due ideologie sono a stretto contatto quando non conniventi.
In Germania la "grande coalizione" si è avuta pur di non mandare i "neo-com" di Lafontaine al potere.
In Francia problematiche di questo tipo si avranno alle prossime elezioni.
Ma l'esempio più eclatante si è avuto in Italia in cui nonostante una forte parte sia moderata, il governo ha avuto una deriva troppo accentuata verso la sinistra massimalista, prova ne siano i continui richiami alla lotta di classe e alle manifestazioni, in cui partecipavano esponenti della maggioranza, in cui si inneggiava all'anti-americanismo e all'anti-imperialismo e in cui sfilavano islamici che inneggiavano contro Israele e in cui c'erano esponenti del pacifismo che evidentemente è solo di parte.
Il connubio di cui si parlava prima, e tutto in una fase embrionale i futuri sviluppi si avranno in un futuro prossimo venturo dei neo-comunisti.