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mercoledì, ottobre 18, 2006

L'intervista / La vocazione rivoluzionaria del Pci e la sua ossessione parlamentare

di Leonardo Raito - E’appena arrivato nelle librerie l'ultimo saggio di Salvatore Sechi, lo storico che da anni studia, dopo esserne stato un militante, l'organizzazione del Pci. Si intitola "Compagno cittadino. Il Pci tra via parlamentare e lotta armata", e lo pubblica l'editore Rubbettino. Sechi, docente all’Università di Ferrara, ritiene che l'immagine del Pci, malgrado la sua crescente, quasi ossessiva parlamentarizzazione, resti a lungo quella di un partito rivoluzionario. "Guardi, dice Sechi, che è l'intelligence italiana e anglo-americana a documentare il sovversivismo dei comunisti italiani. D'altro canto, il Pci nasce come una forza impegnata a fare la rivoluzione, e non le riforme, in Occidente. In questa prospettiva ha usato tanto il parlamento quanto le piazze, i luoghi di lavoro e i nascondigli dove, dopo la guerra di Liberazione, ha custodito a lungo depositi di armi. Ad essi fecero ricorso, non solo per olearle, anche molti dei giovani. Passeranno alla Volante rossa, e alle stesse Brigate rosse".
Ecco l'intervista che il prof. Salvatore Sechi ci ha rilasciato:

Come mai un libro sul Pci, cioè su di un partito che dopo il cambiamento di nome sembra essere scomparso dalla storiografia?
La Fondazione Gramsci non ha smesso di studiare, a volte anche in maniera iconoclastica (come nel caso di Berlinguer), dirigenti e aspetti della storia del Pci. E' vero che su Gramsci e Togliatti sembra prevalere l'aroma della continuità. Ma sono, semmai, gli storici non comunisti, penso ai vecchi "compagni di strada", ad aver abbandonato questo argomento di studi, una volta privilegiato.

Come mai?
Non dimentichi che gli intellettuali sono spesso molto conformisti, gente che ama riti e servizi di curia, fare abluzioni e solide riverenze ai politici in ascesa. E sanno anche calcolare la convenienza, cioè i ritorni (di immagine, di finanziamenti, di "economie di atmosfera" come dicono gli inglesi ecc.) delle loro ricerche. E' chiarissimo che del Pci a Piero Fassino o a Prodi importa assai poco. Dunque, non c'è trippa per il ceto dei colti pronti a servire il Principe.

In questo volume Lei sostiene una tesi assai inedita, controcorrente se non addirittura ardita, cioè che il Pci anche nel tardo dopoguerra, quando cioè ha cominciato a socialdemocratizzarsi, è rimasto un partito rivoluzionario.
Ho preso per esempio la vicenda dell'Emilia Romagna e in generale delle "terre rosse", cioè Toscana, Umbria, Marche. I comunisti emiliani sono stati una straordinaria forza di gestione riformista nelle amministrazioni locali, anche grazie alla precedente esperienza di governo dei socialisti. Creano "il socialismo in un solo comune o regione", quella che Togliatti aveva schermito, in Toscana, chiamandola "la via di Poggibonsi al socialismo". E' un modello statalistico, partito-centrico, che produce sviluppo e occupazione nel contesto di un grande processo di trasformazione industriale e di immissione delle donne nei processi produttivi.

Ma lei introduce un altro elemento, che susciterà grande scandalo.
E' vero. La socialdemocratizzazione dei comunisti italiani sul terreno delle pratiche di governo convive con una riserva di fondo sul regime parlamentare, sulla democrazia parlamentare. Sono impressionanti i documenti, di origine diversa, sull’esistenza di una struttura para-militare clandestina che il Pci tiene in vita a lungo.

Non oltre il centrismo, cioè la fine dei governi presieduti da De Gasperi.
Ho l'impressione che le cose non stiano così. La militarizzazione del Pci si prolunga, in maniera attiva o inerziale, sino alla fine degli anni sessanta almeno. Se il ministro dell'Interno Giuliano Amato e quello della Difesa Arturo Parisi fossero meno interessati a conservare il passato, e lasciare circolare, come unica fonte storiografica, le memorie e gli stessi falsi elaborati dai comunisti, e più preoccupati di bandire le streghe, aprendo gli archivi, misteri ed ossessioni sull'apparato militare del Pci avrebbero una rapida soluzione. Non ha più senso identificare la storia dei comunisti nella lotta per il pane e l'occupazione. Dove sono più forti, proprio lì, come in Emilia Romagna, si reclutano più uomini per costituire bande armate in Cecoslovacchia.

Perché lei stenta a chiamare un grande processo di democratizzazione quanto i comunisti hanno fatto in quella regione, e in altre?
Confesso di essere rimasto assai influenzato da un vecchio libro, "Satrapie", in cui il direttore del "Resto del Carlino", Mario Missiroli, descrive la forza di intimidazione, di simulazione, e la stessa violenza con cui essa viene punita, insieme ad eventuali forme di dissenso. Ancor più, con i comunisti il dato costante della loro cultura, della stessa antropologia, è quello dell'omologazione, cioè di non amare il diverso, di avversare il pluralismo, a meno che non riesca a controllarlo e dirigerlo. Questa di mettere le braghe ai propri alleati e in generale alla società civile, impedendone un libero e spontaneo sviluppo, è la loro preoccupazione costante. E' quanto hanno fatto nei confronti della sinistra socialista, di quella democristiana, degli indipendenti di sinistra ecc. Il Pci è sempre stato un partito totalizzante e totalitario, oltre che un classico "partito pigliatutto". Far crescere il consenso non significa aumentare la crescita democratica, il diritto cioè ad esprimere, e far contare, la propria diversità, e anche indipendenza, dai comunisti.

Il Pci ha sempre puntato a incorporare, integrare, dettandone le condizioni, milioni di persone nelle proprie istituzioni (penso ai sindacati, agli organismi scolastici, ai consigli di quartiere, alle organizzazioni del tempo libero ecc…). Ma questo spartito sembra una vecchia musica.
Ha ragione. Sembra di riascoltare Togliatti nelle "Lezioni sul fascismo" a metà degli anni Trenta del XX secolo quando a Mosca insegnava ai suoi giovani compagni la straordinaria capacità che aveva avuto il regime mussoliniano, al di là dell'uso della violenza preventiva e repressiva, di stabilire un contatto permanente con strati sociali e istituzioni (dalle cooperative ai sindacati e alle associazioni sportive ecc.) non fasciste, e a neutralizzarle. Se non si tiene presente il modello fascista di organizzazione delle masse, di controllo della società civile, che ebbero il Fascismo e la Chiesa (al centro delle riflessioni di Gramsci, e non solo di Togliatti), non si capisce nulla della conquista comunista del consenso. Non dimentichi che fino nel 1948 arrivò ad avere circa due milioni, due milioni e mezzo di iscritti. E durante il periodo repubblicano ebbe il più alto numero di iscritti e di attivisti.

Ma come fece a disporre di una macchina organizzativa così potente?
Nel libro mostro come oltre il 20% del bilancio del Pci fosse di origine sovietica e, in secondo luogo, come esso venisse rimpinguato delle tangenti pagate dalle imprese pubbliche e private che investivano o commerciavano con i paesi dell'Europa orientale.

Ma, professor Sechi, queste sono le cose che scriveva una rivista neofascista come Il Borghese.
Erano informazioni corrette, indiscutibili. Mario Tedeschi, il direttore del giornale legato alla destra neo-fascista, riceveva informazioni di prima mano dal capo dell'Ufficio degli affari riservati del ministero dell'Interno. Curerà buoni rapporti con alti dirigenti del Pci. In secondo luogo ci sono le informazioni dei nostri servizi segreti.

Erano affidabili? Che cosa sostenevano?
Si tratta di una documentazione preziosa, una sorta di radiografia del mondo industriale italiano e delle operazioni in Urss, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia ecc., con l'indicazione della tangente versata al Pci. Ne erano informati sia il ministro della Difesa Randolfo Pacciardi sia il ministro Ugo La Malfa.

Ma si rende conto che sta dipingendo il Pci come il partito più corrotto ed esoso dell'Italia post-fascista......
Togliatti e i suoi successori sono stati i più esosi del Ghino di Tacco della democrazia repubblicana, che viene identificato, facendo carte false, nel Psi di Bettino Craxi. Nessun imprenditore né della Confindustria né delle aziende di Stato, ha potuto fare alcun accordo con imprese dell'Est europeo senza versare al Pci, che deteneva il monopolio, addirittura europeo, dell'intermediazione, commissioni, taglie, tangenti cospicue. In secondo luogo, c'è il capitolo dell'evasione fiscale. Le carte che attraverso Giovanni Falcone sono state inviate da Mosca in Italia, documentano come il Pci abbia praticato con l'Urss una politica di colossale evasione fiscale ai danni sia dello Stato sovietico sia di quello italiano. Penso ad esempio a Maritalia.

da
L'opinione

giovedì, ottobre 12, 2006

Università migliori del mondo: Inghilterra all’assalto degli Usa

di Lorenzo Amuso - Allo straripante predominio degli Stati Uniti si contrappone la Gran Bretagna, che conquista due gradini del podio. Bene anche la Cina, in ascesa rispetto a dodici mesi fa; si difende il Vecchio Continente che occupa oltre 40 dei primi 100 posti. Non pervenuta - desolatamente - l'Italia. Non è il riepilogo del medagliere olimpico, ma la classifica annuale delle migliori università del mondo redatta da Times Higher Education Supplement (Thes), autorevole periodico dedicato al mondo accademico.
Oltre 3.700 atenei, disseminati nei cinque continenti, passati in rassegna per stabilire la graduatoria finale delle università che hanno ottenuto i risultati più significativi in termini di insegnamento e in campo scientifico (pubblicazioni, riconoscimenti internazionali e studi).
Al primo posto, confermando il primato dello scorso anno, si è piazzata ancora una volta Harvard. Ma la sua supremazia non appare più incontrastata, al contrario sembra ora minacciata dalla prepotente avanzata di due istituti britannici, Cambridge e Oxford, capaci non solo di scavalcare il Massachusetts Institute of Technology (secondo nel 2005), ma addirittura di accorciare il distacco dalla regina delle università. Un risultato inatteso per l'accademia britannica, sempre più alle prese con la cronica carenza di fondi e infrastrutture e - nel contempo - gravata dall'incontrollata crescita dei costi di gestione. Basti pensare che il budget annuale a disposizione di Harvard, pari a 26 miliardi di dollari, supera quello di cui dispongono complessivamente tutte le università di Sua Maestà.
Un deficit strutturale che non ha comunque impedito al Regno Unito di inserire tre università (al nono posto c'è l'Imperial College London) nei primi dieci posti, risultando la nazione con il più alto numero di nuove entrate, grazie ai 29 atenei (lo scorso anno erano 23) nelle prime 200 posizioni. «È rassicurante scoprire che il sistema di studio applicato a Cambridge come a Oxford continua a funzionare e a essere apprezzato a livello internazionale - il commento di Ian Leslie, Pro Vice Chancellor di Cambridge -.
L'eccellenza dell'insegnamento e della ricerca è confermata dalla graduatoria». Altrettanto soddisfatto John Hood, Vice Chancellor di Oxford: «La nostra presenza nell'élite mondiale, nonostante le ristrettezze economiche, rappresenta un marchio di inconfondibile qualità». Una crescita comunque ancora lontanissima dal record detenuto dagli atenei a stelle e strisce, che cannibalizzano i primi 15 posti della classifica (11 università), facendo registrare 33 istituti tra i migliori 100. Ma se Yale compie un balzo in avanti, passando dal settimo al quarto posto - appaiando il Mit - in ribasso risultano le quotazioni di Stanford (da 5° a 6°), Berkeley (da 6° a 8°) e Princeton (da 9° a 10°).
Risultati, comunque, che ribadiscono - se mai ce ne fosse ancora bisogno - il persistere dell'incontrastata egemonia della lingua inglese in ambito accademico, come sottolinea John O'Leary, direttore di Thes: «Sono tutte università di grandissima tradizione e prestigio. La competizione tra gli atenei diventa di anno in anno sempre più accesa, nella nostra classifica ci sono trenta nazioni rappresentate e ogni anno ce ne sono di nuove».
Da segnalare, a questo proposito, il piccolo balzo in avanti dell'Università di Pechino, uno dei due istituti cinesi in classifica, salita dal 15° al 14° posto e primo ateneo a comparire in graduatoria dopo il predominio anglo-americano. «Non c'è alcun dubbio che le università della Cina in un prossimo futuro risulteranno ancor più competitive» spiega O'Leary. Tra gli outsider, meritano una citazione l'Olanda, con addirittura sette università, la Svizzera e l'Australia con cinque, il Belgio e la Nuova Zelanda con due. Inspiegabile - o forse no - l'assenza dell'Italia in una graduatoria dove trovano posto nazioni dalle risorse economiche limitate quali Irlanda e Messico.

da Il Giornale

mercoledì, ottobre 04, 2006

Il caso Redeker / Se la scuola europea si arrende a Maometto

Velino - Il caso del professor Robert Redeker, il docente di filosofia che il 19 settembre e' stato licenziato dal liceo Pierre-Paul Riquet di Saint Orens de Gameville, in provincia di Tolosa, perche' in un articolo sul Figaro aveva criticato le reazioni islamiche al discorso del papa a Regensburg, ripropone fragorosamente un problema capitale: quello della resa progressiva dell'Occidente alle continue intimidazioni islamiste in nome di una falsa tolleranza e di un nichilismo in salsa buonista che potrebbero pian piano, una capitolazione dopo l'altra, finire per provocare una completa sottomissione, piu' o meno cosciente, del mondo libero all'ordine coranico. "Odio e violenza - aveva scritto Redeker - abitano il libro in cui ogni musulmano viene educato, il Corano. E oggi come ai tempi della Guerra fredda, violenza e intimidazione, sono i mezzi utilizzati da un'ideologia a vocazione egemonica, per imporre la sua cappa di piombo sul mondo". Espressione di un giudizio discutibile come tutte le opinioni umane, ma come tutte le opinioni umane legato all'esercizio di un diritto garantito dalle costituzioni di tutte le democrazie occidentali, queste parole del professor Redeker gli hanno procurato, una dopo l'altra, due feroci punizioni: prima una fatwa assasina lanciata da un gruppo di islamisti radicali, seguita da una raffica di minacce di morte via e-mail, con tanto di foto e indirizzo; quindi la scandalosa, codarda cacciata dalla scuola in cui insegnava, voluta dal preside dell'istituto.

Da quest'ultimo indizio di sottomissione al furore islamista non e' esagerato dedurre che presto, molto presto, dalle scuole europee non verranno licenziati solo gli insegnanti che coltivano ed esprimono qualche pensierino critico su Maometto e sul Corano, bensi' anche i loro massimi maestri. Il primo provvedimento dovrebbe colpire ovviamente Voltaire, che in una sua tragedia defini' Maometto "un mostro incomprensibile di audacia e di impostura"; e nel suo Dizionario filosofico descrisse la fede islamica come una superstizione sanguinaria che promette il paradiso a chi sgozza uno o piu' infedeli. Il secondo dovrebbe colpire Schopenhauer, che in Il mondo come volonta' e rappresentazione, dopo aver definito la religione musulmana "la forma piu' squallida di teismo", aggiunse che il Corano "non contiene nemmeno un pensiero dotato di valore". Il terzo dovrebbe riguardare Jacob Burckhardt, che nelle sue Riflessioni sullo studio della storia traccio' questo ritrattino del Profeta: "Maometto e' fanatico all'estremo, ogni liberta' in materia di religione lo riempie di sacro furore, e questa e' la sua forza principale. Il suo fanatismo e' quello di un semplificatore radicale, e come tale del tutto genuino. Era un fanatismo della specie piu' tenace, la furia dottrinaria, e la sua vittoria fu una delle piu' grandi vittorie del dottrinarismo e della banalita'". E Il quarto dovrebbe raggiungere Dante, che sbatte' Maometto all'inferno, raffigurandolo come un fantoccio spaccato a meta'; anzi, piu' esattamente, "rotto dal mento infin dove si trulla" (vale a dire dalla bazza al deretano); offrendo cosi' lo spettacolo descritto in questa crudele terzina: a le gambe "Tra le gambe pendevan le minugia, | la corata pareva, e il tristo sacco | che merda fa di quel che si trangugia".

Qualche ingenuo a questo punto eccepira' che non si licenziano i morti. Errore, grave errore. Allah esige che i suoi beffatori vengano denunciati, processati, condannati e tormentati per tutta l'eternita'. Comunque gli odierni editori (italiani e forestieri) dei libri di quegli scrittori sacrileghi sono ancora abbastanza vivi. E percio' niente dovrebbe impedire di trascinarli subito in giudizio. E prima di tutti gli altri, naturalmente, dovrebb'esservi trascinato il cavalier Berlusconi. Che come padrone diretto o indiretto di quasi tutta l'editoria nazionale continua tacitamente ad autorizzare sempre nuove edizioni e ristampe non soltanto delle opere citate, ma di un'infinita' di altri libracci analoghi. Compreso il citato poema di Dante, del quale i suoi torchi sfornano ogni anno migliaia di copie per le nostre scuole. Resta solo da definire il reato che dovra' essergli contestato. Il piu' appropriato sembrerebbe quello di concorso esterno in associazione di stampo anti-islamico. (r.g.)

da legnostorto.it